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Subject: Alitaglia.....
cavolo...visto che ormai è sicuro che i debiti ce li accolliamo noi perche nn si fa una colletta popolare e ce la prendiamo noi alitalia?? :D
tu la vuoi?
io no di certo
Alitalia perde 2,36 mln di euro al giorno, vedi un po' te .... :P
tu la vuoi?
io no di certo
Alitalia perde 2,36 mln di euro al giorno, vedi un po' te .... :P
siao 56 milioni in italia bisognerebbe fare i conti :D
Secondo me stiamo perdendo troppo tempo a dare responsabilità politiche a qesta o a quella parte... La politica in Italia serve come un parassita serve a una pianta, e questo già si sa.
Ma guardiamo per un attimo la cosa da un lato economico.
Alitalia sono ormai diversi secoli che è un colabrodo. Il mio prof. di economia mi diceva ancora 5 anni fa che Alitalia era una bellissimo esempio di quello che NON bisogna fare economicamente.Già si sapeva che perdeva milioni al giorno, percé non aveva per niente sotto controllo i suoi costi.
Perdi milioni su milioni... cosa devi fare? Tagliare, ovviamente. Non c'è altra possibilità se vuoi provare a salvarti. E invece Alitalia apriva nuove linee intercontinentali, andando ulteriormente a perdere e perdere.
Pensate a questo dato: Alitalia aveva un fattore di riempimento aerei per il pareggio pari al 140%. Cioè significa che avrebbe dovuto vendere 140 biglietti ogni 100 posti di tutti i suoi aerei. (per avere un'ulteriore paragone su questo dato, le compagnie aeree europee come Lufthansa o AirFrance o altre avevano valori intorno al 70/80%).
In tutto questo scenario aggiungeteci Cimoli che prende di stipendio 10 volte tanto rispetto Spinetta e almeno 3/4 volte tanto il suo collega più ricco delle altre compagnie europee.
Morale: Alitalia perdeva, perdeva e perdeva.
In una qualsiasi azienda privata, l'amministratore sarebbe stato cacciato via a calci nel culo, ma non dati con il piattone... proprio calcioni di punta dritti dritti nel buco nero, e un intervento del Gorilla sul finale come ciliegina sulla torta.
Nelle aziende pubbliche, invece, diamo una liquidazione milionaria a Cimoli con tanti ringraziamenti.
Invece dovremmo noi cittadini, noi che costituiamo la Repubblica (cosa pubblica) chiedere la testa di questi amministratori e dei politici che li aiutano.
Dovrebbero finire prima al rogo, poi impiccati e infine ghigliottinati.
Ma guardiamo per un attimo la cosa da un lato economico.
Alitalia sono ormai diversi secoli che è un colabrodo. Il mio prof. di economia mi diceva ancora 5 anni fa che Alitalia era una bellissimo esempio di quello che NON bisogna fare economicamente.Già si sapeva che perdeva milioni al giorno, percé non aveva per niente sotto controllo i suoi costi.
Perdi milioni su milioni... cosa devi fare? Tagliare, ovviamente. Non c'è altra possibilità se vuoi provare a salvarti. E invece Alitalia apriva nuove linee intercontinentali, andando ulteriormente a perdere e perdere.
Pensate a questo dato: Alitalia aveva un fattore di riempimento aerei per il pareggio pari al 140%. Cioè significa che avrebbe dovuto vendere 140 biglietti ogni 100 posti di tutti i suoi aerei. (per avere un'ulteriore paragone su questo dato, le compagnie aeree europee come Lufthansa o AirFrance o altre avevano valori intorno al 70/80%).
In tutto questo scenario aggiungeteci Cimoli che prende di stipendio 10 volte tanto rispetto Spinetta e almeno 3/4 volte tanto il suo collega più ricco delle altre compagnie europee.
Morale: Alitalia perdeva, perdeva e perdeva.
In una qualsiasi azienda privata, l'amministratore sarebbe stato cacciato via a calci nel culo, ma non dati con il piattone... proprio calcioni di punta dritti dritti nel buco nero, e un intervento del Gorilla sul finale come ciliegina sulla torta.
Nelle aziende pubbliche, invece, diamo una liquidazione milionaria a Cimoli con tanti ringraziamenti.
Invece dovremmo noi cittadini, noi che costituiamo la Repubblica (cosa pubblica) chiedere la testa di questi amministratori e dei politici che li aiutano.
Dovrebbero finire prima al rogo, poi impiccati e infine ghigliottinati.
nel caso in esame le responsabilità del centrodestra sono evidentissime a tutti credo, indipendentemente dal colore politico di chi analizza la questione
non è qualunquismo, Alitalia, nello specifico, va male da un lustro e mezzo, nel quale si sono succeduti governi dei 2 schieramenti!.. Morale?
preparate le tute anticacca, a breve saremo totalmente sommersi! ( grazie a, tutti nessuno escluso, i nostri politici).
(edited)
non è qualunquismo, Alitalia, nello specifico, va male da un lustro e mezzo, nel quale si sono succeduti governi dei 2 schieramenti!.. Morale?
preparate le tute anticacca, a breve saremo totalmente sommersi! ( grazie a, tutti nessuno escluso, i nostri politici).
(edited)
e il debito pubblico sale...
il problema è che lo fa dal '65. O_o
il problema è che lo fa dal '65. O_o
no no... io non ci sto! :D
se vogliamo parlare della evoluzione del debito e della situazione di alitalia dagli albori, apriamo un altro thread e discutiamone.
se invece rimaniamo in topic, cioè sul perchè alitalia non è stata venduta a air france, cosa che era assai più conveniente di questa vera e propria mazzetta agli amici imprenditori con in mezzo 3 mesi di perdite + 300 milioni di cassa buttati, calo generale di competitività sul mercato e debiti completamente spalmati sulle tasse dei contribuenti (tra cui me e te)... beh, io non ho alcun dubbio su di chi sia la colpa :|
se vogliamo parlare della evoluzione del debito e della situazione di alitalia dagli albori, apriamo un altro thread e discutiamone.
se invece rimaniamo in topic, cioè sul perchè alitalia non è stata venduta a air france, cosa che era assai più conveniente di questa vera e propria mazzetta agli amici imprenditori con in mezzo 3 mesi di perdite + 300 milioni di cassa buttati, calo generale di competitività sul mercato e debiti completamente spalmati sulle tasse dei contribuenti (tra cui me e te)... beh, io non ho alcun dubbio su di chi sia la colpa :|
io non ho alcun dubbio su di chi sia la colpa
Dei sindacati.
Dei sindacati.
sindacati si ma alla fine è stata determinante il no dell opposizione ai tempi del governo prodi
Frankfurter Allgemeine Zeitung: “Alitalia scandalo di dimensioni europee”
Il piano governativo di salvataggio di Alitalia è “insolente” e rappresenta “uno scandalo di dimensioni europee“. Lo scrive oggi in un lungo fondo il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, secondo il quale il risanamento della compagnia di bandiera italiana “si fa beffe di tutte le regole del mercato“.
Il giornale spiega che la soluzione scelta dal governo italiano “non ha nulla a che vedere con i principi della concorrenza“, con il risultato che i clienti della nuova compagnia avranno “un servizio peggiore a prezzi più elevati“. Dopo aver ricordato che fino al 2002 Alitalia ha ricevuto 1,4 miliardi di euro di sovvenzioni statali, a cui si sono aggiunti altri crediti nel 2005 e nel 2008, “registrati alla fine sui libri contabili come capitale proprio”, la ‘Faz’ rileva che il piano di privatizzazione attuale è ancora “più insolente”, poichè intende “separare la parte migliore della compagnia, per assegnarla ad un prezzo di favore ad un nuovo consorzio di imprenditori, mentre ad occuparsi del marcio restante sarà lo Stato italiano“.
Il giornale sottolinea che con la prevista fusione tra Alitalia ed Air One la concorrenza sul piano interno viene “limitata per decreto del governo”. Per evitare poi che in futuro ai milanesi venga in mente di volare in America con una compagnia straniera, partendo da Linate per Francoforte o Londra, “il governo intende semplicemente vietare tali collegamenti. I milanesi devono essere costretti ad andare tutti nel lontano aeroporto di Malpensa, dove Alitalia ha collegamenti con l’America“.
Secondo la ‘Faz’, il piano di salvataggio di Alitalia deciso dal governo “ricorda molto un modo di agire che nel codice è descritto come ‘bancarotta fraudolenta’: le parti di valore vengono cedute, ma i debiti, i lavoratori in esubero e gli altri problemi vengono mantenuti e per evitare che non ne derivi un nuovo scandalo, lo Stato italiano deve pagare tutti i conti”. Questi pagamenti, sostiene il giornale di Francoforte, “non sono altro che una nuova gigantesca sovvenzione alla vecchia Alitalia o al nuovo monopolista aereo italiano, uno scandalo di altro tipo in una dimensione europea“.
La ‘Faz’ conclude che per la Commissione europea non sarà facile “impedire questi eccessi, in quanto l’incarico di Commissario ai Trasporti è in mani italiane, vale a dire in quelle di Antonio Tajani, ex portavoce governativo di Berlusconi”.
Il piano governativo di salvataggio di Alitalia è “insolente” e rappresenta “uno scandalo di dimensioni europee“. Lo scrive oggi in un lungo fondo il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, secondo il quale il risanamento della compagnia di bandiera italiana “si fa beffe di tutte le regole del mercato“.
Il giornale spiega che la soluzione scelta dal governo italiano “non ha nulla a che vedere con i principi della concorrenza“, con il risultato che i clienti della nuova compagnia avranno “un servizio peggiore a prezzi più elevati“. Dopo aver ricordato che fino al 2002 Alitalia ha ricevuto 1,4 miliardi di euro di sovvenzioni statali, a cui si sono aggiunti altri crediti nel 2005 e nel 2008, “registrati alla fine sui libri contabili come capitale proprio”, la ‘Faz’ rileva che il piano di privatizzazione attuale è ancora “più insolente”, poichè intende “separare la parte migliore della compagnia, per assegnarla ad un prezzo di favore ad un nuovo consorzio di imprenditori, mentre ad occuparsi del marcio restante sarà lo Stato italiano“.
Il giornale sottolinea che con la prevista fusione tra Alitalia ed Air One la concorrenza sul piano interno viene “limitata per decreto del governo”. Per evitare poi che in futuro ai milanesi venga in mente di volare in America con una compagnia straniera, partendo da Linate per Francoforte o Londra, “il governo intende semplicemente vietare tali collegamenti. I milanesi devono essere costretti ad andare tutti nel lontano aeroporto di Malpensa, dove Alitalia ha collegamenti con l’America“.
Secondo la ‘Faz’, il piano di salvataggio di Alitalia deciso dal governo “ricorda molto un modo di agire che nel codice è descritto come ‘bancarotta fraudolenta’: le parti di valore vengono cedute, ma i debiti, i lavoratori in esubero e gli altri problemi vengono mantenuti e per evitare che non ne derivi un nuovo scandalo, lo Stato italiano deve pagare tutti i conti”. Questi pagamenti, sostiene il giornale di Francoforte, “non sono altro che una nuova gigantesca sovvenzione alla vecchia Alitalia o al nuovo monopolista aereo italiano, uno scandalo di altro tipo in una dimensione europea“.
La ‘Faz’ conclude che per la Commissione europea non sarà facile “impedire questi eccessi, in quanto l’incarico di Commissario ai Trasporti è in mani italiane, vale a dire in quelle di Antonio Tajani, ex portavoce governativo di Berlusconi”.
è si in effetti è una cosa inaccettabile... io come facente parte del popolo sono incazzato nero... e sti imprenditori si arricchiscono alle spalle nostre e che siamo?? ha ragione quell uomo a dire che siamo il paese di pulcinella... la modifica alla legge marzano è uno sputo alla legalita!! per di piu se si sttolinerebbe la somiglianza alla bancorotta fraudolenta nn ci sarebbe la fortuna di intervento di qualche corte??
Trucchi e segreti della casta volante
Politici, manager, calciatori. La saga della compagnia. Anche una commissione a 8 per scegliere i nomi degli aerei
ROMA — C'era una volta una compagnia aerea che perdeva 25 mila euro l'anno per ognuno dei suoi dipendenti. Che aveva 5 (cinque) aerei cargo sui quali si alternavano 135 (centotrentacinque) piloti. Che arrivò ad avere un consiglio di amministrazione composto di 17 poltrone: tre per i sindacalisti e una assegnata, chissà perché, al Provveditore generale dello Stato, l'uomo incaricato di comprare le matite, le lampadine e le sedie dei ministeri.
Che istituì perfino una commissione di otto persone per decidere i nomi da dare agli aeroplani: e si possono immaginare i dibattiti fra i sostenitori di Caravaggio e quelli di Agnolo Bronzino. Che in vent'anni cambiò dieci capi azienda, nessuno uscito di scena alla scadenza naturale del suo mandato. E che negli ultimi dieci anni ha scavato una voragine di tre miliardi chiudendo un solo bilancio in utile, ma unicamente grazie a una gigantesca penale che i preveggenti olandesi della Klm preferirono pagare pur di liberarsi dal suo abbraccio mortale.
C'era una volta, appunto. Perché una cosa sola, mentre scade l'ultimatum di Augusto Fantozzi, è certa: quella Alitalia lì non c'è più. La corsa disperata di cui parlò Tommaso Padoa-Schioppa quando ancora confidava di poter passare la patata bollente ad Air France, dicendo di sentirsi come «il guidatore di un'ambulanza che sta correndo per portare il malato nell'unica clinica che si è dichiarata diposta ad accettarlo», è comunque finita. E con quell'ultimo viaggio, fallito in modo drammatico, si è chiusa un'epoca. Con un solo rammarico: che la parola fine doveva essere scritta molti anni prima. Se soltanto i politici l'avessero voluto.
Già, i politici. Ricordate Giuseppe Bonomi? Politico forse sui generis, leghista e oggi presidente della Sea, ora ha chiesto all'Alitalia 1,2 miliardi di euro di danni perché la compagnia ha deciso di lasciare l'aeroporto di Malpensa. Anche lui è stato presidente dell'Alitalia: durante la sua presidenza la compagnia prossima ad essere «tecnicamente in bancarotta», per usare le parole del capo della Emirates, Ahmed bin Saeed Al-Maktoum, sponsorizzò generosamente i concorsi ippici di Assago e piazza di Siena. Alle quali Bonomi, provetto cavallerizzo, partecipò come concorrente. Ma senza portare a casa una medaglia. Ritorno d'immagine? Boh.
E ricordate Luigi Martini? Ex calciatore della Lazio, protagonista dello storico scudetto del 1974, chiusa la carriera sportiva diventò pilota dell'Alitalia. Poi parlamentare e responsabile trasporti di Alleanza nazionale: ma senza smettere mai di volare. Per conservare il brevetto gli fu concesso di mantenere anche grado e stipendio. Faceva tre decolli e tre atterraggi ogni 90 giorni, quando gli impegni politici lo consentivano, pilotando aerei di linea con 160 passeggeri a bordo. Inconsapevoli, probabilmente, che alla cloche c'era nientemeno che un parlamentare in carica. Questa sì che era degna di chiamarsi italianità. In quale altro Paese sarebbe stato possibile?
Domanda legittima anche a proposito di quello che accadde nel 2002, quando con la benedizione di Claudio Scajola venne istituita una linea quotidiana Alitalia fra Fiumicino e Villanova D'Albenga, collegio elettorale dell'allora ministro dell'Interno. Numero massimo di passeggeri, denunciò il rifondarolo Luigi Malabarba, diciotto. Dimesso il ministro, fu dimessa anche la linea. Ripristinato il ministro, come responsabile dell'Attuazione del programma, fu ripristinato pure il volo: in quel caso da Air One, con contributi pubblici. Volo successivamente abolito dopo la fine del precedente governo Berlusconi e quindi ora, si legge sui giornali, riesumato per la terza volta.
Ma politici e flap in Italia hanno sempre rappresentato un connubio spettacolare. Lo sapevano bene i 9 sindacati dell'Alitalia, che non a caso nei momenti critici, ha raccontato al Corriere Luigi Angeletti, regolarmente pretendevano di avere al tavolo il governo, delegittimando la controparte naturale, cioè l'amministratore delegato. E i ministri regolarmente si calavano le braghe. Forse questo spiega perché mentre tutte le compagnie straniere, alle prese con le crisi, tagliavano il personale e riducevano i costi, all'Alitalia accadeva il contrario.
Nel 1991, dopo la guerra del Golfo, si decisero 2.600 prepensionamenti. Poi arrivò Roberto Schisano, che diede un'altra strizzatina, e i dipendenti scesero nel 1995 a 19.366. Armato di buone intenzioni, Domenico Cempella nel 1996 li portò a 18.850. Nel 1998 però erano già risaliti a 19.683. L'anno dopo a 20.770. E nel 2001, l'anno dell'attentato alle Torri gemelle di New York, si arrivò a 23.478. Poi ci si stupì che per 14 anni, fino al 1999, fosse stato tenuto in vita a Città del Messico, come denunciò l'Espresso, un ufficio dell'Alitalia con 15 dipendenti, nonostante gli aerei avessero smesso di atterrare lì nel lontano 1985. Come ci si stupì che gli equipaggi in transito a Venezia venissero fatti alloggiare nel lussuoso Hotel Des Bains del Lido, con trasferimento in motoscafo. O che per un intero anno (il 2005) la compagnia avesse preso in affitto 600 stanze d'albergo, quasi sempre vuote, nei dintorni dell'aeroporto, per gli equipaggi composti da dipendenti con residenza a Roma ma luogo di lavoro a Malpensa. Per non parlare della guerra sui lettini per il riposo del personale di bordo montati sui Jumbo, al termine della quale 350 piloti portarono a casa una indennità di 1.800 euro al mese anche se il lettino loro ce l'avevano. O dell'incredibile numero di dipendenti all'ufficio paghe del personale navigante, che aveva raggiunto 89 unità. Incredibile soltanto per chi non sa che gli stipendi arrivavano a contare 505 voci diverse.
Tutto questo ora appartiene al passato. Prossimo o remoto, comunque al passato. Della futura Alitalia, per ora, si conosce soltanto il promotore: Compagnia aerea italiana, Cai, stesso acronimo di un'altra Cai, la Compagnia aeronautica italiana, la società che gestisce la flotta dei servizi segreti. E le cui azioni, per una curiosa e assolutamente casuale coincidenza, sono custodite nella SanPaolo fiduciaria, del gruppo bancario Intesa SanPaolo, lo stesso che supporta la cordata italiana per l'Alitalia.
Sergio Rizzo
Io dico solo una cosa, chiudere questo rubinetto please che l'acqua COSTA !!!!
Politici, manager, calciatori. La saga della compagnia. Anche una commissione a 8 per scegliere i nomi degli aerei
ROMA — C'era una volta una compagnia aerea che perdeva 25 mila euro l'anno per ognuno dei suoi dipendenti. Che aveva 5 (cinque) aerei cargo sui quali si alternavano 135 (centotrentacinque) piloti. Che arrivò ad avere un consiglio di amministrazione composto di 17 poltrone: tre per i sindacalisti e una assegnata, chissà perché, al Provveditore generale dello Stato, l'uomo incaricato di comprare le matite, le lampadine e le sedie dei ministeri.
Che istituì perfino una commissione di otto persone per decidere i nomi da dare agli aeroplani: e si possono immaginare i dibattiti fra i sostenitori di Caravaggio e quelli di Agnolo Bronzino. Che in vent'anni cambiò dieci capi azienda, nessuno uscito di scena alla scadenza naturale del suo mandato. E che negli ultimi dieci anni ha scavato una voragine di tre miliardi chiudendo un solo bilancio in utile, ma unicamente grazie a una gigantesca penale che i preveggenti olandesi della Klm preferirono pagare pur di liberarsi dal suo abbraccio mortale.
C'era una volta, appunto. Perché una cosa sola, mentre scade l'ultimatum di Augusto Fantozzi, è certa: quella Alitalia lì non c'è più. La corsa disperata di cui parlò Tommaso Padoa-Schioppa quando ancora confidava di poter passare la patata bollente ad Air France, dicendo di sentirsi come «il guidatore di un'ambulanza che sta correndo per portare il malato nell'unica clinica che si è dichiarata diposta ad accettarlo», è comunque finita. E con quell'ultimo viaggio, fallito in modo drammatico, si è chiusa un'epoca. Con un solo rammarico: che la parola fine doveva essere scritta molti anni prima. Se soltanto i politici l'avessero voluto.
Già, i politici. Ricordate Giuseppe Bonomi? Politico forse sui generis, leghista e oggi presidente della Sea, ora ha chiesto all'Alitalia 1,2 miliardi di euro di danni perché la compagnia ha deciso di lasciare l'aeroporto di Malpensa. Anche lui è stato presidente dell'Alitalia: durante la sua presidenza la compagnia prossima ad essere «tecnicamente in bancarotta», per usare le parole del capo della Emirates, Ahmed bin Saeed Al-Maktoum, sponsorizzò generosamente i concorsi ippici di Assago e piazza di Siena. Alle quali Bonomi, provetto cavallerizzo, partecipò come concorrente. Ma senza portare a casa una medaglia. Ritorno d'immagine? Boh.
E ricordate Luigi Martini? Ex calciatore della Lazio, protagonista dello storico scudetto del 1974, chiusa la carriera sportiva diventò pilota dell'Alitalia. Poi parlamentare e responsabile trasporti di Alleanza nazionale: ma senza smettere mai di volare. Per conservare il brevetto gli fu concesso di mantenere anche grado e stipendio. Faceva tre decolli e tre atterraggi ogni 90 giorni, quando gli impegni politici lo consentivano, pilotando aerei di linea con 160 passeggeri a bordo. Inconsapevoli, probabilmente, che alla cloche c'era nientemeno che un parlamentare in carica. Questa sì che era degna di chiamarsi italianità. In quale altro Paese sarebbe stato possibile?
Domanda legittima anche a proposito di quello che accadde nel 2002, quando con la benedizione di Claudio Scajola venne istituita una linea quotidiana Alitalia fra Fiumicino e Villanova D'Albenga, collegio elettorale dell'allora ministro dell'Interno. Numero massimo di passeggeri, denunciò il rifondarolo Luigi Malabarba, diciotto. Dimesso il ministro, fu dimessa anche la linea. Ripristinato il ministro, come responsabile dell'Attuazione del programma, fu ripristinato pure il volo: in quel caso da Air One, con contributi pubblici. Volo successivamente abolito dopo la fine del precedente governo Berlusconi e quindi ora, si legge sui giornali, riesumato per la terza volta.
Ma politici e flap in Italia hanno sempre rappresentato un connubio spettacolare. Lo sapevano bene i 9 sindacati dell'Alitalia, che non a caso nei momenti critici, ha raccontato al Corriere Luigi Angeletti, regolarmente pretendevano di avere al tavolo il governo, delegittimando la controparte naturale, cioè l'amministratore delegato. E i ministri regolarmente si calavano le braghe. Forse questo spiega perché mentre tutte le compagnie straniere, alle prese con le crisi, tagliavano il personale e riducevano i costi, all'Alitalia accadeva il contrario.
Nel 1991, dopo la guerra del Golfo, si decisero 2.600 prepensionamenti. Poi arrivò Roberto Schisano, che diede un'altra strizzatina, e i dipendenti scesero nel 1995 a 19.366. Armato di buone intenzioni, Domenico Cempella nel 1996 li portò a 18.850. Nel 1998 però erano già risaliti a 19.683. L'anno dopo a 20.770. E nel 2001, l'anno dell'attentato alle Torri gemelle di New York, si arrivò a 23.478. Poi ci si stupì che per 14 anni, fino al 1999, fosse stato tenuto in vita a Città del Messico, come denunciò l'Espresso, un ufficio dell'Alitalia con 15 dipendenti, nonostante gli aerei avessero smesso di atterrare lì nel lontano 1985. Come ci si stupì che gli equipaggi in transito a Venezia venissero fatti alloggiare nel lussuoso Hotel Des Bains del Lido, con trasferimento in motoscafo. O che per un intero anno (il 2005) la compagnia avesse preso in affitto 600 stanze d'albergo, quasi sempre vuote, nei dintorni dell'aeroporto, per gli equipaggi composti da dipendenti con residenza a Roma ma luogo di lavoro a Malpensa. Per non parlare della guerra sui lettini per il riposo del personale di bordo montati sui Jumbo, al termine della quale 350 piloti portarono a casa una indennità di 1.800 euro al mese anche se il lettino loro ce l'avevano. O dell'incredibile numero di dipendenti all'ufficio paghe del personale navigante, che aveva raggiunto 89 unità. Incredibile soltanto per chi non sa che gli stipendi arrivavano a contare 505 voci diverse.
Tutto questo ora appartiene al passato. Prossimo o remoto, comunque al passato. Della futura Alitalia, per ora, si conosce soltanto il promotore: Compagnia aerea italiana, Cai, stesso acronimo di un'altra Cai, la Compagnia aeronautica italiana, la società che gestisce la flotta dei servizi segreti. E le cui azioni, per una curiosa e assolutamente casuale coincidenza, sono custodite nella SanPaolo fiduciaria, del gruppo bancario Intesa SanPaolo, lo stesso che supporta la cordata italiana per l'Alitalia.
Sergio Rizzo
Io dico solo una cosa, chiudere questo rubinetto please che l'acqua COSTA !!!!