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Subject: Terroni
http://www.noisefromamerika.org/index.php?module=comments&func=display&cid=29938&objectid=1582&modid=151&itemtype=1&thread=1#d29938
chi ama confutare, confuti questi dati...
chi ama confutare, confuti questi dati...
cosa c'e' da confutare in una tabella del genere?
sono dati del 2007 che riguardano la gestione del denaro pubblico regione per regione
ma non c'entra nulla con la questione meridionale
sono dati del 2007 che riguardano la gestione del denaro pubblico regione per regione
ma non c'entra nulla con la questione meridionale
per il 'fotte' basti pensare ai mostruosi trasferimenti che il sud riceve OGNI ANNO e chegiocoforza provengono da tasse pagate dal nord.
don't get me started, please
:-)
più grande cazzata di questa non potevi sparare !!!!! Il rapporto investimenti pubblici nord - sud è di 90 a 10...basta leggere l'ultima rapporto Svimez e le previsioni di spesa del CIPE per l'anno in corso.
Tutto ciò in un'ottica ben particolare: al nord si sono costruite tante infrastrutture...strade, ponti, ferrovie, etc che al sud sono completamente mancanti. Non a caso al sud si da come contributo straordinario, al nord come ordinario e moltissimo di più.
E dove vanno i soldi dati al sud? Il 90% di tali soldi torna al nord , visto che quasi tutte le aziende interessate sono del nord .
don't get me started, please
:-)
più grande cazzata di questa non potevi sparare !!!!! Il rapporto investimenti pubblici nord - sud è di 90 a 10...basta leggere l'ultima rapporto Svimez e le previsioni di spesa del CIPE per l'anno in corso.
Tutto ciò in un'ottica ben particolare: al nord si sono costruite tante infrastrutture...strade, ponti, ferrovie, etc che al sud sono completamente mancanti. Non a caso al sud si da come contributo straordinario, al nord come ordinario e moltissimo di più.
E dove vanno i soldi dati al sud? Il 90% di tali soldi torna al nord , visto che quasi tutte le aziende interessate sono del nord .
Senti, scrivi con un po' più di rispetto, ok?
Mi piaceva leggere questo topic, ma se si comincia a ridere in faccia, denigrare, insultare....
Mi piaceva leggere questo topic, ma se si comincia a ridere in faccia, denigrare, insultare....
il gorilla non ha denigrato ne insultato la persona
ha dichiarato che una asserzione era una cazzata documentando anche i motivi
ha dichiarato che una asserzione era una cazzata documentando anche i motivi
Magari si poteva risparmiare le 4 faccine, non trovi? Sennò spiegami come si può discutere con uno che ti ride in faccia...
ok, se tu non credi che la tabella che ho linkato dimostri che i trasferimenti nord sud siano della portata indicata delle 2 l'una: o mi fornisci altri dati, oppure deduco che per te 2+2=5, e a fronte di questo non credo di poter continuare a parlare.
:-)
:-)
Non ho capito cosa vuoi evincere, ma a me, dalla tabella, risulta che le entrate, a parità di popolazione, sono nettamente più alte al Nord rispetto che al Sud, dov e i saldi sono quasi tutti negativi proprio per le differenti entrate.
A me pare una sperequazione bella e buona...
A me pare una sperequazione bella e buona...
Non ho capito cosa vuoi evincere, ma a me, dalla tabella, risulta che le entrate, a parità di popolazione, sono nettamente più alte al Nord rispetto che al Sud, dov e i saldi sono quasi tutti negativi proprio per le differenti entrate.
A me pare una sperequazione bella e buona...
esattamente.
A me pare una sperequazione bella e buona...
esattamente.
svimez e cipe sono organi ufficiali governativi, non tabelle non ufficiali e misurate a spanne.
Ho comprato il libro, sono ansioso di leggerlo....
(edited)
(edited)
tratto da Terroni:
Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i
nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni
“anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà
di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante
il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe
francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere
l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno
ci rimette qualcosa).
Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli
d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali,
come i Lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu
Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.
Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex
garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al
Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro
preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe
inorridire». E Garibaldi parlò di «cose da cloaca».
Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza
processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici
a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per
definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia,
briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini,
briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti;
o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela);
o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma
di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non
anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere
il proprio paese invaso.
Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello
del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi
che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia
di profughi in marcia.
Non volevo credere che i primi campi di concentramento
e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord,
per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia,
forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano
nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita
cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo
e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli
lontano da occhi indiscreti.
Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono
le ricche banche meridionali, regge, musei, case private
(rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte
e costituire immensi patrimoni privati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti
avanzi di galera.
Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa
aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra
di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie
fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e
Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto
da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel
1988).
Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al
momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati
del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di
essere invaso).
E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica
e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due
Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo
finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che
è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che
presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello
franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata
dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni
localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia
dell’Italia settentrionale).
Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni
di disperati meridionali che emigravano in America, per
assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano
e i settentrionali che andavano a “far la stagione”,
per qualche mese in Svizzera.
Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare
più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne
dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago
di Como.
Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al
Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d’Italia
percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse
quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della
Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre
ancora a binario unico e con gran parte della rete non
elettrificata.
Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno
dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso
portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie,
stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi
speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a
farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, sce-
gliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)?
Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere
di essere italiano: «Le Royaume d’Italie est
aujourd’hui un fait» annunciò Cavour al Senato. «Le Roi notre
auguste Souverain prend pour lui-même et pour ses successeurs
le titre de Roi d’Italie.»
Credevo al Giosue Carducci delle Letture del Risorgimento
italiano: «Né mai unità di nazione fu fatta per aspirazione
di più grandi e pure intelligenze, né con sacrifici di più
nobili e sante anime, né con maggior libero consentimento
di tutte le parti sane del popolo». Affermazione riportata in
apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuito gratuitamente
dai Centri di Lettura e Informazione a cura del
ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale per
l’Educazione Popolare, dal 1964. Il curatore, Alberto M.
Ghisalberti, avverte che, «a un secolo di distanza (...), la revisione
critica operata dagli storici possa suggerire interpretazioni
diversamente meditate (...) della più complessa
realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce il
poeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.
Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei
pare una bella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare
di parlarne «può anche essere opera di carità». (Storia
d’Italia, Einaudi).
Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda
di Garibaldi.
Non sapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso
che non avevo mai attribuito alcun valore, positivo o negativo,
al fatto di essere nato più a Sud o più a Nord di un altro.
Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra
gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.
A mano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io
stupito; gli ascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori
seccati: esagerazioni, invenzioni e, se vere, cose vecchie.
E mi accorsi che diventavo meridionale, perché, stupidamente,
maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto
stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.
Loro che usano “italiano” come un insulto e
abitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”,
quando Roma riorganizzò l’impero (quella meridionale
venne chiamata “Apulia”, dal nome della mia regione. Ma
la prima “Italia” della storia fu un pezzo di Calabria sul
Tirreno).
Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra sia servito a
molto, perché «ogni battaglia contro pregiudizi universalmente
condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas
Humphrey (Una storia della mente). «Perché non riprendi
una delle tante pubblicazioni meridionaliste di venti,
trent’anni fa, e la ristampi tale e quale? Chi si accorgerebbe
che del tempo è passato, inutilmente?» suggeriva ottant’anni
fa a Piero Gobetti, Tommaso Fiore che poi, per
fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, un economista
indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno),
allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare
del già detto, e del già fallito».
Perché tale stato di cose è utile alla parte più forte del
paese, anche se si presenta con due nomi diversi: “Questione
meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire
dalla subalternità impostagli; e “Questione settentrionale”,
di recente conio, ovvero della volontà del Nord di mantenere
la subalternità del Sud e il redditizio vantaggio di potere
conquistato con le armi e una legislazione squilibrata.
Dopo centocinquant’anni, questo sistema rischia di spezzare
il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perché troppi sono
gl’interessi che se ne nutrono.
Così, accade che la verità venga scritta, ma non sia letta;
e se letta, non creduta; e se creduta, non presa in considerazione;
e se presa in considerazione, non tanto da cambiare
i comportamenti, da indurre ad agire “di conseguenza”.
I meridionali si lamentano sempre e i carcerati si dicono
tutti innocenti. Il paragone non è casuale; nel bel libro Sull’identità
meridionale, Mario Alcaro scrive: «Si può dire
che è la difesa di un imputato, di un cittadino del Sud che
cerca una risposta alle tante critiche e accuse che gli son
piovute addosso». Il pregiudizio (pre, “prima”) è una condanna
senza processo. Sospetto che la sua persistenza eviti,
a chi lo nutre, un’ammissione di colpa. «L’uomo è un animale
mosso in modo determinante dalla colpa» rammenta
Luigi Zoja in Storia dell’arroganza. «Un sentimento di colpa
può essere spostato, non cancellato.» E il Nord aggressore
incolpa l’aggredito delle conseguenze dell’aggressione:
rimosso il rimorso, se mai c’è stato.
Noi meridionali conosciamo bene tutto questo: non ci
indigna nemmeno più; ci stanca: «Senti che la gente ti capisce
male, che devi parlare più forte, gridare» spiegava
Cˇechov. «E le grida sono ripugnanti. Parli a voce sempre
più bassa, forse tra poco tacerai del tutto.» Fra le urla dell’altro,
ormai privo del freno della vergogna che lo rendeva
civile.
Oggi, nuovi fermenti animano una ricerca di verità storica,
non solo meridionale, che viene dal basso, più che dalle
aule universitarie o dalla politica, dalle istituzioni. Non è facile
capire dove questo possa portare; se a un revanscismo
uguale e opposto al razzismo nordista di Lega e collaterali,
o a una comune crescita di consapevolezza e conoscenza:
un nuovo meridionalismo non solo meridionale (e sarebbe
un ritorno alle origini, perché nacque nordico, specie lombardo),
per ridare un’anima decente a un’Italia che l’ha
smarrita, nel fallimento della politica e la sua riduzione a furia
predatoria di egoismi personali e territoriali. Temo, per
il pessimismo della ragione e perché i segni vanno in quella
direzione, che il peggio prevalga, proprio “per” e non
“nonostante” i suoi difetti (è la legge di Greg e Galton, che
ricordo in Elogio dell’imbecille). Ma, per l’ottimismo della
volontà, spero nel contrario (nemmeno il peggio dura per
sempre; e anche i peggiori muoiono)
Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i
nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni
“anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà
di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante
il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe
francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere
l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno
ci rimette qualcosa).
Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli
d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali,
come i Lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu
Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.
Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex
garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al
Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro
preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe
inorridire». E Garibaldi parlò di «cose da cloaca».
Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza
processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici
a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per
definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia,
briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini,
briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti;
o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela);
o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma
di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non
anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere
il proprio paese invaso.
Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello
del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi
che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia
di profughi in marcia.
Non volevo credere che i primi campi di concentramento
e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord,
per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia,
forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano
nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita
cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo
e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli
lontano da occhi indiscreti.
Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono
le ricche banche meridionali, regge, musei, case private
(rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte
e costituire immensi patrimoni privati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti
avanzi di galera.
Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa
aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra
di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie
fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e
Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto
da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel
1988).
Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al
momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati
del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di
essere invaso).
E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica
e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due
Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo
finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che
è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che
presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello
franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata
dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni
localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia
dell’Italia settentrionale).
Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni
di disperati meridionali che emigravano in America, per
assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano
e i settentrionali che andavano a “far la stagione”,
per qualche mese in Svizzera.
Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare
più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne
dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago
di Como.
Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al
Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d’Italia
percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse
quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della
Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre
ancora a binario unico e con gran parte della rete non
elettrificata.
Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno
dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso
portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie,
stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi
speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a
farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, sce-
gliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)?
Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere
di essere italiano: «Le Royaume d’Italie est
aujourd’hui un fait» annunciò Cavour al Senato. «Le Roi notre
auguste Souverain prend pour lui-même et pour ses successeurs
le titre de Roi d’Italie.»
Credevo al Giosue Carducci delle Letture del Risorgimento
italiano: «Né mai unità di nazione fu fatta per aspirazione
di più grandi e pure intelligenze, né con sacrifici di più
nobili e sante anime, né con maggior libero consentimento
di tutte le parti sane del popolo». Affermazione riportata in
apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuito gratuitamente
dai Centri di Lettura e Informazione a cura del
ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale per
l’Educazione Popolare, dal 1964. Il curatore, Alberto M.
Ghisalberti, avverte che, «a un secolo di distanza (...), la revisione
critica operata dagli storici possa suggerire interpretazioni
diversamente meditate (...) della più complessa
realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce il
poeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.
Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei
pare una bella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare
di parlarne «può anche essere opera di carità». (Storia
d’Italia, Einaudi).
Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda
di Garibaldi.
Non sapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso
che non avevo mai attribuito alcun valore, positivo o negativo,
al fatto di essere nato più a Sud o più a Nord di un altro.
Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra
gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.
A mano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io
stupito; gli ascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori
seccati: esagerazioni, invenzioni e, se vere, cose vecchie.
E mi accorsi che diventavo meridionale, perché, stupidamente,
maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto
stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.
Loro che usano “italiano” come un insulto e
abitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”,
quando Roma riorganizzò l’impero (quella meridionale
venne chiamata “Apulia”, dal nome della mia regione. Ma
la prima “Italia” della storia fu un pezzo di Calabria sul
Tirreno).
Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra sia servito a
molto, perché «ogni battaglia contro pregiudizi universalmente
condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas
Humphrey (Una storia della mente). «Perché non riprendi
una delle tante pubblicazioni meridionaliste di venti,
trent’anni fa, e la ristampi tale e quale? Chi si accorgerebbe
che del tempo è passato, inutilmente?» suggeriva ottant’anni
fa a Piero Gobetti, Tommaso Fiore che poi, per
fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, un economista
indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno),
allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare
del già detto, e del già fallito».
Perché tale stato di cose è utile alla parte più forte del
paese, anche se si presenta con due nomi diversi: “Questione
meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire
dalla subalternità impostagli; e “Questione settentrionale”,
di recente conio, ovvero della volontà del Nord di mantenere
la subalternità del Sud e il redditizio vantaggio di potere
conquistato con le armi e una legislazione squilibrata.
Dopo centocinquant’anni, questo sistema rischia di spezzare
il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perché troppi sono
gl’interessi che se ne nutrono.
Così, accade che la verità venga scritta, ma non sia letta;
e se letta, non creduta; e se creduta, non presa in considerazione;
e se presa in considerazione, non tanto da cambiare
i comportamenti, da indurre ad agire “di conseguenza”.
I meridionali si lamentano sempre e i carcerati si dicono
tutti innocenti. Il paragone non è casuale; nel bel libro Sull’identità
meridionale, Mario Alcaro scrive: «Si può dire
che è la difesa di un imputato, di un cittadino del Sud che
cerca una risposta alle tante critiche e accuse che gli son
piovute addosso». Il pregiudizio (pre, “prima”) è una condanna
senza processo. Sospetto che la sua persistenza eviti,
a chi lo nutre, un’ammissione di colpa. «L’uomo è un animale
mosso in modo determinante dalla colpa» rammenta
Luigi Zoja in Storia dell’arroganza. «Un sentimento di colpa
può essere spostato, non cancellato.» E il Nord aggressore
incolpa l’aggredito delle conseguenze dell’aggressione:
rimosso il rimorso, se mai c’è stato.
Noi meridionali conosciamo bene tutto questo: non ci
indigna nemmeno più; ci stanca: «Senti che la gente ti capisce
male, che devi parlare più forte, gridare» spiegava
Cˇechov. «E le grida sono ripugnanti. Parli a voce sempre
più bassa, forse tra poco tacerai del tutto.» Fra le urla dell’altro,
ormai privo del freno della vergogna che lo rendeva
civile.
Oggi, nuovi fermenti animano una ricerca di verità storica,
non solo meridionale, che viene dal basso, più che dalle
aule universitarie o dalla politica, dalle istituzioni. Non è facile
capire dove questo possa portare; se a un revanscismo
uguale e opposto al razzismo nordista di Lega e collaterali,
o a una comune crescita di consapevolezza e conoscenza:
un nuovo meridionalismo non solo meridionale (e sarebbe
un ritorno alle origini, perché nacque nordico, specie lombardo),
per ridare un’anima decente a un’Italia che l’ha
smarrita, nel fallimento della politica e la sua riduzione a furia
predatoria di egoismi personali e territoriali. Temo, per
il pessimismo della ragione e perché i segni vanno in quella
direzione, che il peggio prevalga, proprio “per” e non
“nonostante” i suoi difetti (è la legge di Greg e Galton, che
ricordo in Elogio dell’imbecille). Ma, per l’ottimismo della
volontà, spero nel contrario (nemmeno il peggio dura per
sempre; e anche i peggiori muoiono)
Secondo te come mai queste son le stesse storie che raccontano i leghisti quando spiegano che la mafia in realta´e´ l'esercito di liberazione del sud ?
Ho smesso di ascoltarlo dopo 3 minuti...
Li abbiamo accolti con i fucili in mano! [???]
Ci siamo fatti sterminare a centinaia di migliaia! [si, da 1000 persone... chi cazzo erano? Dei terminator T1000???]
boh... dai, diciamo che ha ragione.
Se vuole firmare per la seccessione basta che faccia un colpo di telefono a Bossi, così si mettono d'accordo...
Li abbiamo accolti con i fucili in mano! [???]
Ci siamo fatti sterminare a centinaia di migliaia! [si, da 1000 persone... chi cazzo erano? Dei terminator T1000???]
boh... dai, diciamo che ha ragione.
Se vuole firmare per la seccessione basta che faccia un colpo di telefono a Bossi, così si mettono d'accordo...