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Subject: Crisi economica
ILLIMITATI, MA TEMPORANEI
L'annuncio che la Bce acquisterà titoli di Stato dei paesi in difficoltà, senza limiti di ammontare, è un significativo passo avanti nella soluzione della crisi del debito sovrano dell'area euro. Tuttavia, gli acquisti saranno sì illimitati, ma anche temporanei, perché concentrati solo sui titoli con scadenza residua non superiore a tre anni. Una scelta che tutela la Bce da possibili perdite dovute a un aggravarsi della crisi. Manda, però, un segnale di sfiducia al mercato e rischia di generare ulteriori vulnerabilità nei debiti degli Stati sovrani.
lavoce
L'annuncio che la Bce acquisterà titoli di Stato dei paesi in difficoltà, senza limiti di ammontare, è un significativo passo avanti nella soluzione della crisi del debito sovrano dell'area euro. Tuttavia, gli acquisti saranno sì illimitati, ma anche temporanei, perché concentrati solo sui titoli con scadenza residua non superiore a tre anni. Una scelta che tutela la Bce da possibili perdite dovute a un aggravarsi della crisi. Manda, però, un segnale di sfiducia al mercato e rischia di generare ulteriori vulnerabilità nei debiti degli Stati sovrani.
lavoce
interessante.
ti faccio solo 1 appunto:
il governo argentino ha tutti gli interessi a taroccare i dati x far vedere una situazione più bella della realtà, e quindi in primis darei credito all'FMI
peccato che l'FMI abbia tutti gli interessi a taroccare i dati x far vedere una situazione più brutta della realtà, per non ammettere che in argentina se la possono cavare sbugiardando le ricette economiche dell'FMI stesso.
morale: al momento nessun dato è imparziale e quindi attendibile, il mio giudizio sulla questione argentina resta in sospeso
ti faccio solo 1 appunto:
il governo argentino ha tutti gli interessi a taroccare i dati x far vedere una situazione più bella della realtà, e quindi in primis darei credito all'FMI
peccato che l'FMI abbia tutti gli interessi a taroccare i dati x far vedere una situazione più brutta della realtà, per non ammettere che in argentina se la possono cavare sbugiardando le ricette economiche dell'FMI stesso.
morale: al momento nessun dato è imparziale e quindi attendibile, il mio giudizio sulla questione argentina resta in sospeso
ecco uno dei problemi fondamentali di questo pianeta e del genere umano.
i ricchi emigrano al nord
Sempre più spagnoli, greci e italiani portano i soldi e le aziende all'estero. Spesso in altri paesi europei dove
si pagano meno tasse. Ma in questo modo peggiorano la crisi dell'eurozona
Die Zeit, Germania Baden-Baden, Germania
Di questi tempi chi lavora per Equitalia non dorme sonni tranquilli. Attentatori anonimi hanno lanciato una bomba molotov contro una sua filiale in Toscana. A Roma un dipendente è stato ferito da un pacco bomba, mentre pietre, uova e bottiglie sono piovute sulla porta d'ingresso di un'altra sede. Un gruppo di anarchici ha incitato alla violenza contro Equitalia. Ma in realtà protestano anche centinaia di cittadini comuni. Equitalia non è un'azienda come le altre: è l'impresa pubblica che riscuote le tasse per conto del ministero delle finanze italiano. Oggi questo basta a scaldare gli animi nel sud dell'Europa. In tempi di crisi la rabbia accumulata si scarica nelle strade, e sotto assedio finiscono proprio quelli che provano a risanare le finanze: quelli che tagliano e risparmiano o quelli che, come Equitalia, tentano di incassare tasse sempre più alte. Pochi, invece, protestano contro un fenomeno che, senza dare troppo nell'occhio, punta in direzione esattamente opposta: da mesi i ricchi dell'Europa meridionale fanno sparire in sordina i loro risparmi, spostandoli in quelle zone del continente che gli offrono un regime fiscale più vantaggioso. E contribuiscono in questo modo ad aggravare la crisi. Uno di questi ricchi è il greco Homer Varouxakis. Il 6 luglio ha incontrato per l'ennesima volta il suo agente immobiliare a Bayswater, nel centro di Londra. Varouxakis viene da una famiglia di armatori: "Ma abbiamo solo un paio di petroliere, niente di più", precisa parlando della sua azienda. Di recente, però, ha cominciato a occuparsi anche del settore immobiliare. Tre anni fa ha comprato una casa a Moscow road al modico prezzo di 4,5 milioni di sterline ( 5,6 milioni di euro) e dall'inizio dell'anno esplora il mercato immobiliare londinese per conto della sua famiglia. Ha già comprato cinque appartamenti,
sempre a Bayswater e nella limitrofa Notting Hill, per fratelli e genitori: ogni appartamento è costato più di due milioni di sterline. Ora sta cercando un buon investimento per una cugina della madre. "La Grecia è una nave che affonda", dice Varouxakis. "Ormai vale solo il principio del 'si salvi chi può'". Da Natale il numero di clienti greci che cercano immobili per un valore superiore al milione e mezzo di sterline è raddoppiato, racconta Lucian Cook, un intermediario dell'agenzia immobiliare Savills. Il motivo sono i vantaggi fiscali: chi come Varouxakis vive solo temporaneamente nel Regno Unito o investe in immobili paga le tasse solo sugli utili generati nel paese. La compagnia marittima di Varouxakis, che ha sede legale nei Caraibi, ha pagato ora, per
la prima volta in sette anni, una tassa forfettaria annua di trentamila sterline. Uno scherzo, per uno che compra case milionarie. Quello di Varouxakis non è un caso isolato. La fuga di capitali dai paesi dell'Europa del sud è cominciata da un pezzo. Oggi greci, spagnoli e italiani fanno sparire miliardi dai loro conti: tra gennaio e maggio di quest'anno, per esempio, i depositi delle banche spagnole sono diminuiti di 86 miliardi di
euro. Le ragioni sono varie. Una grossa fetta di questi capitali non è stata spesa, ma è finita da qualche altra parte, spesso in Svizzera. La confederazione è un rifugio sicuro per i ricchi che non hanno più fiducia nel loro paese. Diverse banche svizzere hanno reso noto che in alcune filiali le loro cassette di sicurezza sono piene.
La banca centrale svizzera registra una domanda crescente di banconote da mille franchi, il taglio ideale per riempire le casseforti con grosse somme di denaro. Secondo un'indagine pubblicata di recente dall'istituto, nel 2011 i depositi dei clienti greci nelle banche svizzere sono passati da 1,5 a 4,3 miliardi di franchi (3,5 miliardi di euro). I depositi degli spagnoli sono cresciuti da seicento milioni a 7,9 miliardi di franchi, mentre
quelli degli italiani sono passati da 1,4 a 16,5 miliardi.
Scorciatoie legali.
Molti capitali in fuga, tuttavia, non cercano solo un porto sicuro. Anche se non ci sono numeri precisi, una delle conseguenze dello spostamento di denaro è che molti ricchi - o le loro aziende - alla fine pagano pochissime tasse o addirittura nessuna. Ci riescono attraverso l'evasione fiscale, ma anche grazie all'elusione fiscale, cioè l'uso di scorciatoie legali per aggirare le tasse, che è legittima ma ugualmente disastrosa per i paesi dell'Europa meridionale.
Il comportamento di alcuni privilegiati rischia di minacciare la stessa tenuta del continente, sostiene l'ex ministro delle finanze tedesco Hans Eichel: "I ricchi che si sottraggono all'obbligo delle tasse rendono la pressione fiscale ancora più pesante per i poveri. Se i capi di governo europei non intervengono con determinazione, sarà in pericolo la democrazia stessa". Le parole di Eichel sono drammatiche, ma non fanno una piega. In Italia, dove volano pietre contro Equitalia, si stima che nel 2009 sono stati sottratti al isco 120 miliardi di euro tra elusione ed evasione. Una cifra quattro volte più grande del pacchetto di austerità approvato a fatica dal governo di Mario Monti. In Europa non mancano i nascondigli per chi cerca di far sparire i capitali. Prendiamo
un esempio che viene dalla Grecia. Ogni anno la multinazionale svedese Ikea consegna prodotti per milioni di euro al suo affiliato greco Fourlis Holding. L'azienda greca, però, preferisce pagare da un'altra parte le tasse sui mobili che vende. Per questo apre nuove filiali in Bulgaria, dove la pressione iscale è circa la metà di quella greca. Secondo l'agenzia d'informazione Bloomberg, nel 2010 il numero di aziende greche che hanno
trasferito la loro sede in Bulgaria è aumentato del 75 per cento, arrivando a un totale di 3.781 imprese. La Commissione europea stima che solo nell'eurozona l'economia sommersa raggiunge un valore di 1.400 miliardi di euro. In altre parole il 20 per cento dell'economia europea funziona senza che sia pagato un centesimo di tasse. Chi è impegnato nel salvataggio dell'euro farebbe passi da gigante se riuscisse a battere
cassa presso alcuni cittadini di Spagna, Grecia e di altri paesi in crisi. "Pensate a cosa si potrebbe fare per risanare le finanze degli stati con questa cifra", ha detto il commissario europeo per la fiscalità Algirdas Semeta: 1.400 miliardi di euro corrispondono al debito di Portogallo, Grecia e Spagna. "I capi di governo dicono di voler combattere l'evasione con il pugno di ferro. È ora di passare ai fatti". Ma come? I collaboratori di Semeta insistono su due punti. Prima di tutto vogliono che le agenzie delle entrate dei paesi europei coordinino sempre di più il loro lavoro invece di agire ognuna per contro proprio. Oggi, per esempio, 27 paesi dell'Unione europea hanno un accordo fiscale con la Svizzera, ma il Regno Unito e la Germania, e di recente anche l'Austria, hanno stipulato nuovi accordi bilaterali autonomi. La Commissione europea, invece, si sta
battendo per un accordo iscale uguale per tutti. A Bruxelles, inoltre, si cerca di capire come far pagare le stesse tasse alle aziende di tutta l'Europa. Può sembrare una questione per esperti di diritto tributario, ma la sua risoluzione avrebbe conseguenze notevoli nella lotta alla fuga di capitali. Un provvedimento del genere potrebbe abbattere in un colpo solo la competizione fiscale interna ai paesi dell'Unione europea, offrendo inoltre il vantaggio di rendere vani diversi trucchetti fiscali. È il momento giusto per un cambiamento del genere. Mai prima d'ora i ministri delle finanze si erano trovati a fare i conti con un'emergenza così grave. Perché allora non si fa niente? Quanto sia difficile il passaggio dalla teoria alla pratica lo dimostra un breve viaggio a Cipro. Attraverso una scala polverosa arriviamo in un ufficio al secondo piano di un palazzone della capitale, Nicosia. Qui lavora un signore tedesco che si autodefinisce "ottimizzatore delle tasse". È il titolare di un'impresa di consulenza. Cosa s'intenda con "consulenza" lo rivela un prospetto dell'azienda, disponibile in inglese e in tedesco: la repubblica di Cipro offre "un ambiente di lavoro fiscalmente favorevole", si legge. C'è un'imposta unica sugli utili societari, pari al 10 per cento. È la più bassa d'Europa: in Germania è il triplo.
Tutto quello che serve è fondare un'azienda, di facciata o anche reale. Poi non resta che approfittare delle tasse da favola e, volendo, anche di una decina di altri privilegi: per esempio, nessuna tassazione dei dividendi. "In Germania pagherei come uno scemo", ammette francamente il titolare. A Cipro, invece, ha alle sue dipendenze una squadra di diciotto contabili e commercialisti, che lo aiutano a fondare o a ristrutturare
aziende, e a trovare sedi nell'isola. E tutto è rigorosamente legale. A Cipro, quindi, si può risparmiare sulle tasse senza violare la legge. Il risultato è che nel registro di commercio dell'isola sono iscritte circa 260mila imprese internazionali. Solo negli ultimi due anni 1.500 aziende greche hanno trasferito la loro sede a Cipro.
È questo il maggior problema fiscale dell'Unione europea. Non sono i paradisi lontani come le Cayman, Singapore o Jersey. Sono le oasi fiscali all'interno del suo territorio. "Il mercato interno ha unificato l'Europa, ma i sistemi fiscali restano incompatibili", spiega Semeta. Eppure, quando i suoi collaboratori hanno provato a cambiare le cose e, nel marzo del 2011, hanno tentato di unificare almeno la base imponibile dell'imposta
sugli utili societari, è scoppiato l'inferno. Ogni paese si è aggrappato alla sua storia, alla sua filosofia fiscale. I ministri delle finanze sono d'accordo solo sul fatto che non bisogna modificare le loro rispettive politiche fiscali.
"Finché nessuno si espone rischiando di scatenare un conflitto di politica estera, non succederà niente", dice Sven Giegold, esperto di economia del gruppo dei Verdi al parlamento europeo. Giegold avrebbe voluto per lo meno aprire un dibattito. Ora guida a Bruxelles un gruppo di lavoro di diplomatici che provano a migliorare l'integrazione fiscale europea. Ma i risultati sono scoraggianti, e la cosa non lo sorprende più di tanto: "Le misure di austerità per i paesi dell'Europa meridionale sono descritte in nei minimi dettagli, ma una soluzione per arginare la fuga di capitali non sembra interessare a nessuno". Sicuramente, almeno per ora, non sembra una questione troppo importante per il governo tedesco: "Non sappiamo se e quanto la fuga di capitali sia aumentata in Europa", ha scritto in un comunicato una portavoce del ministero delle finanze. "La fuga di capitali", afferma Hans Eichel, "è un vero e proprio modello di business in certi paesi europei, alcuni dei quali fanno parte dell'Unione". L'ex ministro delle finanze racconta che quando era in carica, tra il 1999 e il 2005, ha vissuto in prima persona la fase calda dei negoziati per una direttiva fiscale europea unitaria. All'epoca Jean-Claude Juncker, poi diventato premier del Lussemburgo, scappò all'improvviso da una riunione importante.
Eichel ricorda che i suoi vice cercarono di bloccare l'ordine del giorno. Per il Lussemburgo c'era molto in gioco: le attività finanziarie rappresentano un terzo della sua economia. Il risultato fu un compromesso pieno di buchi: gli utili distribuiti e le entrate derivanti dalla vendita di azioni non furono sottoposti a una tassa unitaria né al controllo diretto delle agenzie delle entrate, e i fondi d'investimento ottennero numerose
concessioni. Gli interessi maturati all'estero dai risparmiatori dovevano essere comunicati automaticamente al fisco, ma non se provenivano da conti nel Lussemburgo o in Austria. Oggi la situazione non è cambiata molto. Da mesi la Commissione europea fa pressioni per stipulare un nuovo accordo fiscale con la Svizzera a nome di tutti i paesi dell'Unione. Alla fine di giugno i capi di governo hanno scritto ancora una volta nella
dichiarazione conclusiva di un vertice: "Si deve trovare unità per un accordo con paesi terzi sulla tassazione dei proventi degli interessi". Si parla sempre di "dovere" e "potere", ma non si passa mai all'azione. Lussemburgo e Austria, in competizione con la Svizzera nel settore finanziario, bloccano il processo ogni volta che si è sul punto di fare un passo in avanti. Gli altri paesi non sono troppo interessati all'accordo, anche perché alcuni, come la Germania, hanno già firmato un trattato bilaterale con la Svizzera.
L'esempio di Cipro.
Finora il tentativo di appianare le differenze fiscali ed eliminare la competizione è stato quasi disperato. Ancora una volta è l'esempio di Cipro che mostra quanto sia diicile eliminare le competizione fiscale nell'Unione europea. Quest'estate il paese ha avuto un bisogno urgente di liquidità per ricapitalizzare le sue due maggiori
banche e ha chiesto aiuto all'Europa attraverso il fondo salvastati, l'European financial stability facility (Efsf ). All'inizio di luglio la troika (i rappresentanti dell'Unione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale) è sbarcata a Nicosia per controllare i conti pubblici. Il governo cipriota temeva che i suoi creditori potessero mettere in discussione la normativa fiscale dell'isola e imporre delle modiiche come
condizione per gli aiuti. Il ministro delle finanze Vassos Shiarly si è affrettato a sottolineare che la bassa imposta sugli utili societari è "una delle ragioni più importanti del successo dell'economia cipriota". Ha ricordato, inoltre, che il settore finanziario è responsabile di un quarto dell'economia dell'isola e che comunque il rapporto tra il debito pubblico cipriota e il pil è perfino più basso di quello tedesco. Per cercare di conservare la sua indipendenza dall'Unione europea, Nicosia ha provato a battere una doppia strada, sondando il terreno per una possibile richiesta di aiuti alla Russia: Mosca avrebbe potuto prestare i soldi a un tasso d'interesse più basso e senza condizioni politiche. Shiarly, comunque, si è detto "molto fiducioso" che l'imposta resti invariata. Dall'inizio di luglio Cipro è presidente del consiglio dell'Unione europea, cioè l'organo che presiede le riunioni dei ministri delle finanze, e quindi sarà Cipro a stabilire gli ordini del giorno. E in fondo l'Europa non ha cose più importanti da fare che occuparsi di un'inezia come la politica fiscale?
fonte piscino.it
da Internazionale - N.966 - 14 settembre 2012
(edited)
i ricchi emigrano al nord
Sempre più spagnoli, greci e italiani portano i soldi e le aziende all'estero. Spesso in altri paesi europei dove
si pagano meno tasse. Ma in questo modo peggiorano la crisi dell'eurozona
Die Zeit, Germania Baden-Baden, Germania
Di questi tempi chi lavora per Equitalia non dorme sonni tranquilli. Attentatori anonimi hanno lanciato una bomba molotov contro una sua filiale in Toscana. A Roma un dipendente è stato ferito da un pacco bomba, mentre pietre, uova e bottiglie sono piovute sulla porta d'ingresso di un'altra sede. Un gruppo di anarchici ha incitato alla violenza contro Equitalia. Ma in realtà protestano anche centinaia di cittadini comuni. Equitalia non è un'azienda come le altre: è l'impresa pubblica che riscuote le tasse per conto del ministero delle finanze italiano. Oggi questo basta a scaldare gli animi nel sud dell'Europa. In tempi di crisi la rabbia accumulata si scarica nelle strade, e sotto assedio finiscono proprio quelli che provano a risanare le finanze: quelli che tagliano e risparmiano o quelli che, come Equitalia, tentano di incassare tasse sempre più alte. Pochi, invece, protestano contro un fenomeno che, senza dare troppo nell'occhio, punta in direzione esattamente opposta: da mesi i ricchi dell'Europa meridionale fanno sparire in sordina i loro risparmi, spostandoli in quelle zone del continente che gli offrono un regime fiscale più vantaggioso. E contribuiscono in questo modo ad aggravare la crisi. Uno di questi ricchi è il greco Homer Varouxakis. Il 6 luglio ha incontrato per l'ennesima volta il suo agente immobiliare a Bayswater, nel centro di Londra. Varouxakis viene da una famiglia di armatori: "Ma abbiamo solo un paio di petroliere, niente di più", precisa parlando della sua azienda. Di recente, però, ha cominciato a occuparsi anche del settore immobiliare. Tre anni fa ha comprato una casa a Moscow road al modico prezzo di 4,5 milioni di sterline ( 5,6 milioni di euro) e dall'inizio dell'anno esplora il mercato immobiliare londinese per conto della sua famiglia. Ha già comprato cinque appartamenti,
sempre a Bayswater e nella limitrofa Notting Hill, per fratelli e genitori: ogni appartamento è costato più di due milioni di sterline. Ora sta cercando un buon investimento per una cugina della madre. "La Grecia è una nave che affonda", dice Varouxakis. "Ormai vale solo il principio del 'si salvi chi può'". Da Natale il numero di clienti greci che cercano immobili per un valore superiore al milione e mezzo di sterline è raddoppiato, racconta Lucian Cook, un intermediario dell'agenzia immobiliare Savills. Il motivo sono i vantaggi fiscali: chi come Varouxakis vive solo temporaneamente nel Regno Unito o investe in immobili paga le tasse solo sugli utili generati nel paese. La compagnia marittima di Varouxakis, che ha sede legale nei Caraibi, ha pagato ora, per
la prima volta in sette anni, una tassa forfettaria annua di trentamila sterline. Uno scherzo, per uno che compra case milionarie. Quello di Varouxakis non è un caso isolato. La fuga di capitali dai paesi dell'Europa del sud è cominciata da un pezzo. Oggi greci, spagnoli e italiani fanno sparire miliardi dai loro conti: tra gennaio e maggio di quest'anno, per esempio, i depositi delle banche spagnole sono diminuiti di 86 miliardi di
euro. Le ragioni sono varie. Una grossa fetta di questi capitali non è stata spesa, ma è finita da qualche altra parte, spesso in Svizzera. La confederazione è un rifugio sicuro per i ricchi che non hanno più fiducia nel loro paese. Diverse banche svizzere hanno reso noto che in alcune filiali le loro cassette di sicurezza sono piene.
La banca centrale svizzera registra una domanda crescente di banconote da mille franchi, il taglio ideale per riempire le casseforti con grosse somme di denaro. Secondo un'indagine pubblicata di recente dall'istituto, nel 2011 i depositi dei clienti greci nelle banche svizzere sono passati da 1,5 a 4,3 miliardi di franchi (3,5 miliardi di euro). I depositi degli spagnoli sono cresciuti da seicento milioni a 7,9 miliardi di franchi, mentre
quelli degli italiani sono passati da 1,4 a 16,5 miliardi.
Scorciatoie legali.
Molti capitali in fuga, tuttavia, non cercano solo un porto sicuro. Anche se non ci sono numeri precisi, una delle conseguenze dello spostamento di denaro è che molti ricchi - o le loro aziende - alla fine pagano pochissime tasse o addirittura nessuna. Ci riescono attraverso l'evasione fiscale, ma anche grazie all'elusione fiscale, cioè l'uso di scorciatoie legali per aggirare le tasse, che è legittima ma ugualmente disastrosa per i paesi dell'Europa meridionale.
Il comportamento di alcuni privilegiati rischia di minacciare la stessa tenuta del continente, sostiene l'ex ministro delle finanze tedesco Hans Eichel: "I ricchi che si sottraggono all'obbligo delle tasse rendono la pressione fiscale ancora più pesante per i poveri. Se i capi di governo europei non intervengono con determinazione, sarà in pericolo la democrazia stessa". Le parole di Eichel sono drammatiche, ma non fanno una piega. In Italia, dove volano pietre contro Equitalia, si stima che nel 2009 sono stati sottratti al isco 120 miliardi di euro tra elusione ed evasione. Una cifra quattro volte più grande del pacchetto di austerità approvato a fatica dal governo di Mario Monti. In Europa non mancano i nascondigli per chi cerca di far sparire i capitali. Prendiamo
un esempio che viene dalla Grecia. Ogni anno la multinazionale svedese Ikea consegna prodotti per milioni di euro al suo affiliato greco Fourlis Holding. L'azienda greca, però, preferisce pagare da un'altra parte le tasse sui mobili che vende. Per questo apre nuove filiali in Bulgaria, dove la pressione iscale è circa la metà di quella greca. Secondo l'agenzia d'informazione Bloomberg, nel 2010 il numero di aziende greche che hanno
trasferito la loro sede in Bulgaria è aumentato del 75 per cento, arrivando a un totale di 3.781 imprese. La Commissione europea stima che solo nell'eurozona l'economia sommersa raggiunge un valore di 1.400 miliardi di euro. In altre parole il 20 per cento dell'economia europea funziona senza che sia pagato un centesimo di tasse. Chi è impegnato nel salvataggio dell'euro farebbe passi da gigante se riuscisse a battere
cassa presso alcuni cittadini di Spagna, Grecia e di altri paesi in crisi. "Pensate a cosa si potrebbe fare per risanare le finanze degli stati con questa cifra", ha detto il commissario europeo per la fiscalità Algirdas Semeta: 1.400 miliardi di euro corrispondono al debito di Portogallo, Grecia e Spagna. "I capi di governo dicono di voler combattere l'evasione con il pugno di ferro. È ora di passare ai fatti". Ma come? I collaboratori di Semeta insistono su due punti. Prima di tutto vogliono che le agenzie delle entrate dei paesi europei coordinino sempre di più il loro lavoro invece di agire ognuna per contro proprio. Oggi, per esempio, 27 paesi dell'Unione europea hanno un accordo fiscale con la Svizzera, ma il Regno Unito e la Germania, e di recente anche l'Austria, hanno stipulato nuovi accordi bilaterali autonomi. La Commissione europea, invece, si sta
battendo per un accordo iscale uguale per tutti. A Bruxelles, inoltre, si cerca di capire come far pagare le stesse tasse alle aziende di tutta l'Europa. Può sembrare una questione per esperti di diritto tributario, ma la sua risoluzione avrebbe conseguenze notevoli nella lotta alla fuga di capitali. Un provvedimento del genere potrebbe abbattere in un colpo solo la competizione fiscale interna ai paesi dell'Unione europea, offrendo inoltre il vantaggio di rendere vani diversi trucchetti fiscali. È il momento giusto per un cambiamento del genere. Mai prima d'ora i ministri delle finanze si erano trovati a fare i conti con un'emergenza così grave. Perché allora non si fa niente? Quanto sia difficile il passaggio dalla teoria alla pratica lo dimostra un breve viaggio a Cipro. Attraverso una scala polverosa arriviamo in un ufficio al secondo piano di un palazzone della capitale, Nicosia. Qui lavora un signore tedesco che si autodefinisce "ottimizzatore delle tasse". È il titolare di un'impresa di consulenza. Cosa s'intenda con "consulenza" lo rivela un prospetto dell'azienda, disponibile in inglese e in tedesco: la repubblica di Cipro offre "un ambiente di lavoro fiscalmente favorevole", si legge. C'è un'imposta unica sugli utili societari, pari al 10 per cento. È la più bassa d'Europa: in Germania è il triplo.
Tutto quello che serve è fondare un'azienda, di facciata o anche reale. Poi non resta che approfittare delle tasse da favola e, volendo, anche di una decina di altri privilegi: per esempio, nessuna tassazione dei dividendi. "In Germania pagherei come uno scemo", ammette francamente il titolare. A Cipro, invece, ha alle sue dipendenze una squadra di diciotto contabili e commercialisti, che lo aiutano a fondare o a ristrutturare
aziende, e a trovare sedi nell'isola. E tutto è rigorosamente legale. A Cipro, quindi, si può risparmiare sulle tasse senza violare la legge. Il risultato è che nel registro di commercio dell'isola sono iscritte circa 260mila imprese internazionali. Solo negli ultimi due anni 1.500 aziende greche hanno trasferito la loro sede a Cipro.
È questo il maggior problema fiscale dell'Unione europea. Non sono i paradisi lontani come le Cayman, Singapore o Jersey. Sono le oasi fiscali all'interno del suo territorio. "Il mercato interno ha unificato l'Europa, ma i sistemi fiscali restano incompatibili", spiega Semeta. Eppure, quando i suoi collaboratori hanno provato a cambiare le cose e, nel marzo del 2011, hanno tentato di unificare almeno la base imponibile dell'imposta
sugli utili societari, è scoppiato l'inferno. Ogni paese si è aggrappato alla sua storia, alla sua filosofia fiscale. I ministri delle finanze sono d'accordo solo sul fatto che non bisogna modificare le loro rispettive politiche fiscali.
"Finché nessuno si espone rischiando di scatenare un conflitto di politica estera, non succederà niente", dice Sven Giegold, esperto di economia del gruppo dei Verdi al parlamento europeo. Giegold avrebbe voluto per lo meno aprire un dibattito. Ora guida a Bruxelles un gruppo di lavoro di diplomatici che provano a migliorare l'integrazione fiscale europea. Ma i risultati sono scoraggianti, e la cosa non lo sorprende più di tanto: "Le misure di austerità per i paesi dell'Europa meridionale sono descritte in nei minimi dettagli, ma una soluzione per arginare la fuga di capitali non sembra interessare a nessuno". Sicuramente, almeno per ora, non sembra una questione troppo importante per il governo tedesco: "Non sappiamo se e quanto la fuga di capitali sia aumentata in Europa", ha scritto in un comunicato una portavoce del ministero delle finanze. "La fuga di capitali", afferma Hans Eichel, "è un vero e proprio modello di business in certi paesi europei, alcuni dei quali fanno parte dell'Unione". L'ex ministro delle finanze racconta che quando era in carica, tra il 1999 e il 2005, ha vissuto in prima persona la fase calda dei negoziati per una direttiva fiscale europea unitaria. All'epoca Jean-Claude Juncker, poi diventato premier del Lussemburgo, scappò all'improvviso da una riunione importante.
Eichel ricorda che i suoi vice cercarono di bloccare l'ordine del giorno. Per il Lussemburgo c'era molto in gioco: le attività finanziarie rappresentano un terzo della sua economia. Il risultato fu un compromesso pieno di buchi: gli utili distribuiti e le entrate derivanti dalla vendita di azioni non furono sottoposti a una tassa unitaria né al controllo diretto delle agenzie delle entrate, e i fondi d'investimento ottennero numerose
concessioni. Gli interessi maturati all'estero dai risparmiatori dovevano essere comunicati automaticamente al fisco, ma non se provenivano da conti nel Lussemburgo o in Austria. Oggi la situazione non è cambiata molto. Da mesi la Commissione europea fa pressioni per stipulare un nuovo accordo fiscale con la Svizzera a nome di tutti i paesi dell'Unione. Alla fine di giugno i capi di governo hanno scritto ancora una volta nella
dichiarazione conclusiva di un vertice: "Si deve trovare unità per un accordo con paesi terzi sulla tassazione dei proventi degli interessi". Si parla sempre di "dovere" e "potere", ma non si passa mai all'azione. Lussemburgo e Austria, in competizione con la Svizzera nel settore finanziario, bloccano il processo ogni volta che si è sul punto di fare un passo in avanti. Gli altri paesi non sono troppo interessati all'accordo, anche perché alcuni, come la Germania, hanno già firmato un trattato bilaterale con la Svizzera.
L'esempio di Cipro.
Finora il tentativo di appianare le differenze fiscali ed eliminare la competizione è stato quasi disperato. Ancora una volta è l'esempio di Cipro che mostra quanto sia diicile eliminare le competizione fiscale nell'Unione europea. Quest'estate il paese ha avuto un bisogno urgente di liquidità per ricapitalizzare le sue due maggiori
banche e ha chiesto aiuto all'Europa attraverso il fondo salvastati, l'European financial stability facility (Efsf ). All'inizio di luglio la troika (i rappresentanti dell'Unione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale) è sbarcata a Nicosia per controllare i conti pubblici. Il governo cipriota temeva che i suoi creditori potessero mettere in discussione la normativa fiscale dell'isola e imporre delle modiiche come
condizione per gli aiuti. Il ministro delle finanze Vassos Shiarly si è affrettato a sottolineare che la bassa imposta sugli utili societari è "una delle ragioni più importanti del successo dell'economia cipriota". Ha ricordato, inoltre, che il settore finanziario è responsabile di un quarto dell'economia dell'isola e che comunque il rapporto tra il debito pubblico cipriota e il pil è perfino più basso di quello tedesco. Per cercare di conservare la sua indipendenza dall'Unione europea, Nicosia ha provato a battere una doppia strada, sondando il terreno per una possibile richiesta di aiuti alla Russia: Mosca avrebbe potuto prestare i soldi a un tasso d'interesse più basso e senza condizioni politiche. Shiarly, comunque, si è detto "molto fiducioso" che l'imposta resti invariata. Dall'inizio di luglio Cipro è presidente del consiglio dell'Unione europea, cioè l'organo che presiede le riunioni dei ministri delle finanze, e quindi sarà Cipro a stabilire gli ordini del giorno. E in fondo l'Europa non ha cose più importanti da fare che occuparsi di un'inezia come la politica fiscale?
fonte piscino.it
da Internazionale - N.966 - 14 settembre 2012
(edited)
Cosa non ti è chiaro sul fatto che stanno truccando i conti?
io cito i dati della banca mondiale, pubblicati su google, sulla credibilità di FMI e Argentina la vedo come Bonwilly poco sopra.
Se ti fai una ricerca trovi decine di articoli sui conti truccati dell'Argentina, non solo l'opinione del FMI, che poi sia impedito in tutti i modi l'acquisto di valuta estera (abbiamo preso un rivenditore in Argentina che fatica a trovare modi per pagarci da li ndr) e che la Kirchner stia distruggendo le riserve della Banca Centrale sono dati di fatto, basta cercare.
Aggiungo anche questo articolo sulla reale inflazione Argentina
http://www.economist.com/node/21562238?zid=305&ah=417bd5664dc76da5d98af4f7a640fd8a
Magari è tutto un complotto di FMI e banche contro la povera Argentina che lotta contro i cattivi del mondo ma è una visione poco realistica.
Aggiungo anche questo articolo sulla reale inflazione Argentina
http://www.economist.com/node/21562238?zid=305&ah=417bd5664dc76da5d98af4f7a640fd8a
Magari è tutto un complotto di FMI e banche contro la povera Argentina che lotta contro i cattivi del mondo ma è una visione poco realistica.
per ora uno ha risposto dicendo che gli art. postati dicono il vero.
cmq, io prendo l'occasione per postare una video-intervista di 2 ore e mezza che trovo francamente illuminante:
cmq, io prendo l'occasione per postare una video-intervista di 2 ore e mezza che trovo francamente illuminante:
Magari è tutto un complotto di FMI e banche contro la povera Argentina che lotta contro i cattivi del mondo ma è una visione poco realistica.
più che altro nell'ambiente economico mondiale non considero nessuno buono. ci sono i cattivi, i cattivissimi e i cattivi che si atteggiano a professorioni "sotto tutto io". il FMI rientra nell'ultima categoria. in teoria dovrebbe essere una sorta di arbitro nei rapporti economici mondiali, in realtà è un giocatore, ma ha anche il fischietto.
aprezzo il tuo avvertimento di non prendere per oro colato le dichiarazioni ufficiali del governo argentino, ma ricambio avvisandoti di non dar credito alle dichiarazioni del FMI
più che altro nell'ambiente economico mondiale non considero nessuno buono. ci sono i cattivi, i cattivissimi e i cattivi che si atteggiano a professorioni "sotto tutto io". il FMI rientra nell'ultima categoria. in teoria dovrebbe essere una sorta di arbitro nei rapporti economici mondiali, in realtà è un giocatore, ma ha anche il fischietto.
aprezzo il tuo avvertimento di non prendere per oro colato le dichiarazioni ufficiali del governo argentino, ma ricambio avvisandoti di non dar credito alle dichiarazioni del FMI