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Subject: Crisi economica
peraltro così come si son fatti i confronti di inflazione tra paesi dell'euro, lo stesso processo si può applicare tra varie regioni dello stesso paese, trovando che ci son aree con inflazione più alta e aree con inflazione più bassa. cosa che già si fa, l'istat riporta l'inflazione in italia città per città
è il motivo per il quale io sono a favore di una scissione in italia.
Ne trarrebbe giovamento principalmente il sud italia.
è il motivo per il quale io sono a favore di una scissione in italia.
Ne trarrebbe giovamento principalmente il sud italia.
ma facciamo anche il volo pindarico di uscire dall'euro riprendere la lira e avere sovranità monetaria, secondo voi cambia qualcosa?
si per noi tantissimo.
La svalutazione ci rimetterebbe in pista più velocemente di qualsiasi altro provvedimento.
Non basta certo, ma senza E' TUTTO INUTILE!!!
servono politiche di redistribuzione del reddito, bisogna girare il flusso di ricchezza verso le classi medie e basse x uscire dalla crisi.
concordo, ma si redistribuisce ciò che c'è (ovvero si produce) se si ha poco anche la redistribuzione fallisce..
si per noi tantissimo.
La svalutazione ci rimetterebbe in pista più velocemente di qualsiasi altro provvedimento.
Non basta certo, ma senza E' TUTTO INUTILE!!!
servono politiche di redistribuzione del reddito, bisogna girare il flusso di ricchezza verso le classi medie e basse x uscire dalla crisi.
concordo, ma si redistribuisce ciò che c'è (ovvero si produce) se si ha poco anche la redistribuzione fallisce..
Sante parole, poi però uno si ricorda che dall'europa hanno imposto il pareggio di bilancio in costituzione e quindi i modi per metterlo in pratica non sono molti: tagliare tagliare tagliare... e, rigorosamente partendo da servizi, sanità, spesa pubblica, istruzione... e si ridistribuisce ben poco facendo così.
Bravo!
Per una volta diamo atto al Berlusconi di avere detto delle cose sacrosante (sempre e solo epr suo interesse, però almeno lui le riesce a dire, Letta e Monti più che "ya. mein furher" non gli esce dalla bocca..)
Bravo!
Per una volta diamo atto al Berlusconi di avere detto delle cose sacrosante (sempre e solo epr suo interesse, però almeno lui le riesce a dire, Letta e Monti più che "ya. mein furher" non gli esce dalla bocca..)
Sante parole, poi però uno si ricorda che dall'europa hanno imposto il pareggio di bilancio in costituzione e quindi i modi per metterlo in pratica non sono molti: tagliare tagliare tagliare... e, rigorosamente partendo da servizi, sanità, spesa pubblica, istruzione... e si ridistribuisce ben poco facendo così.
Balle! Si tratta di rimodulare la spesa e i costi che sosteniamo annualmente. La realtà è che nessuno ha voglia di farlo, per cui è più facile tagliare. Senza le riforme strutturali non si va da nessuna prate.
La crescita è il succo, non le caxxate che dice Berlusconi, nè tantomeno solo i tagli...
Balle! Si tratta di rimodulare la spesa e i costi che sosteniamo annualmente. La realtà è che nessuno ha voglia di farlo, per cui è più facile tagliare. Senza le riforme strutturali non si va da nessuna prate.
La crescita è il succo, non le caxxate che dice Berlusconi, nè tantomeno solo i tagli...
no, non credo proprio sia mancanza voglia, ne ignoranza.
un altro punto di vista, questo è il mio prof di Eco Mon in un articolo del 2012
Dopo gli articoli apparsi sull’Economist e sul Washington Post e il reportage di Repubblica, è cresciuto l’interesse per l’economia ‘neo-cartalista’, nota anche con l’acronimo MMT (Modern Monetary Theory). Qui vorrei proporre ai lettori di Economia e Politica una sintesi dei concetti principali di questo approccio ‘eterodosso’ per ricavarne alcune ricette per l’Europa, in alternativa alla visione che domina il dibattito in corso, e che si può riassumere più o meno così:
La crisi dell’euro non è un problema della moneta unica europea, che invece ha dimostrato di mantenere stabile il proprio potere d’acquisto interno ed estero, grazie alla BCE. È piuttosto un problema di alcuni stati che hanno fallito su due fronti: la competitività e l’equilibrio dei conti pubblici. In altre parole, se fossimo tutti come la Germania l’area dell’euro godrebbe di ottima salute. Per quei paesi che hanno fallito, e che possono ancora rimboccarsi le maniche per evitare di uscire dall’euro, la ricetta è una sola: austerità e riforme strutturali, e quindi sacrifici fino a quando le riforme non daranno i loro frutti. È un cammino non breve, né facile, ma è l’unico percorribile: solo riducendo sprechi e costi di produzione (anche attraverso una minor tutela del lavoro dipendente) si riacquisterà la competitività che consentirà di creare nuovi posti di lavoro.
Secondo la MMT, le ragioni della crisi non sono affatto queste, né le ricette sul tavolo dell’Europa (e dell’Italia) hanno una qualche possibilità di successo. E in considerazione del fatto che l’Europa, tra summit, annunci della BCE e nuovi trattati, entra ormai nel terzo anno della “sua” crisi, può essere utile esaminare alcune proposizioni neo-cartaliste e valutare le proposte per l’Europa che se ne possono trarre. Si tratta, d’altra parte, di proposte condivise da un più ampio fronte di economisti di formazione keynesiana e postkeynesiana, con i quali la MMT condivide alcuni principi di fondo.
1. La moneta è un istituzione politica, non una manifestazione delle leggi del mercato
È il punto centrale della teoria neo-cartalista. La moneta, come gli scienziati sociali non economisti ben sanno, è un fenomeno politico-istituzionale, sia dal punto di vista storico che logico. È documento (‘carta’) emessa dallo stato. Non è la soluzione dei privati al problema dei costi di transazione. In un celebre articolo del 1998, Charles Goodhart[1] mosse una serie irresistibile di obiezioni alla teoria privata della moneta, concludendo che la costruzione dell’euro è a rischio: la separazione tra moneta e sovranità politica, spesso elogiata dagli architetti dell’euro come la vera forza della nuova moneta unica, costituisce invece un elemento di profonda fragilità. A distanza di oltre un decennio, I fatti danno ragione a Goodhart.
2. Ogni taglio della spesa e ogni aumento delle tasse riduce la ricchezza finanziaria di famiglie e imprese
Si tratta di un principio che si ricava dalla contabilità settoriale: il disavanzo finanziario di un settore corrisponde sempre ad un equivalente avanzo finanziario di un altro settore. Nel caso del disavanzo pubblico, la maggior ricchezza finanziaria del settore privato corrisponde all’emissione dei titoli e/o delle riserve bancarie prodotti dal disavanzo[2]. In altre parole, il disavanzo pubblico crea (non distrugge) risparmio privato.
Ciò significa che lo sforzo coordinato dell’Europa nel ridurre i disavanzi pubblici comporta una pari riduzione delle attività finanziarie di famiglie e imprese, con effetti depressivi su consumi, investimenti e occupazione. [3] È vero: anche nella letteratura mainstream non si legge più che l’austerità è espansiva. Ma qui c’è un aspetto in più: il disavanzo del settore pubblico è considerato l’unica sorgente netta di ricchezza finanziaria per il settore privato. L’unica alternativa, e cioè un avanzo commerciale con l’estero, è un gioco a somma a zero tra l’esportatore netto e l’importatore netto. Anche la Cina l’ha capito e si sta prudentemente spostando verso un maggior peso dei consumi interni, anche grazie al ruolo della politica fiscale. Gli Europei preferiscono invece la sterile virtù dei bilanci in pareggio.
3. Solo uno stato che si lega le mani rinunciando alla propria sovranità monetaria può trovarsi nell’impossibilità di pagare il servizio del debito
La politica fiscale di uno stato la cui moneta non sia vincolata da accordi di cambio è sempre libera di perseguire la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Il rischio di default dei titoli pubblici entra in gioco solo quando un paese intende garantire un tasso di conversione fisso della propria moneta con una valuta estera, oppure quando un paese rinuncia alla propria moneta.[4]
La crisi europea è dunque una crisi, in primo luogo, di sovranità monetaria. Questa, invece che essere trasferita dalla periferia al centro dell’Unione, è finita nelle mani della BCE, che ha poteri di gestione delle riserve nel sistema dei pagamenti, ma non di politica fiscale. In queste condizioni, era solo una questione di tempo (e di avverse condizioni dell’economia mondiale) prima che i paesi con i disavanzi pubblici e commerciali maggiori si trovassero in condizioni di rischio di default e si manifestasse la “crisi del debito sovrano”, che “sovrano”, in realtà non è più.
4. L’inflazione non è generata da tassi d’interesse troppo bassi, ma si manifesta invece per cause esterne (il prezzo del petrolio) oppure, per cause interne, a causa di un disavanzo pubblico eccessivo rispetto alla capacità produttiva del paese
Questa è la parte più eminentemente teorica. Più che di Modern Monetary Theory (che è un termine a mio parere poco pregnante) bisognerebbe parlare di “teoria del monopolio della moneta”. In altre parole, l’offerta di moneta è vista come un caso di monopolio del settore pubblico che è in grado, come insegna la teoria del monopolio, di fissarne il prezzo, lasciando che la quantità si aggiusti alla domanda. Allo stesso modo, lo stato è in grado di ancorare i prezzi (invece che all’oro) alla merce base dell’economia: il lavoro. Invece che utilizzare la disoccupazione come strumento per stabilizzare i salari, lo stato diventa il datore di lavoro di ultima istanza e fissa un salario minimo, dando un lavoro ai disoccupati.[5]
Che fare?
La crisi del debito “NON-sovrano” è diventata rapidamente una profonda crisi dell’occupazione e del futuro stesso dell’Europa e delle sue più giovani generazioni. La ricetta che più spesso viene ripetuta da politici, media e istituzioni è quella che conosciamo. L’alternativa offerta dall’approccio qui descritto si può invece riassumere in due pilastri fondamentali, cha partono dalla premessa che la crisi dell’euro è duplice: A) di finanziamento degli stati e B) di insufficiente domanda aggregata. E occorre una duplice risposta.
A. La crisi finanziaria si risolve unicamente con il coinvolgimento della BCE
Il susseguirsi di piani di salvataggio è un esercizio tecnicamente inefficace e pericoloso: paesi non sovrani non possono essere finanziati da altri paesi non sovrani. Se non è politicamente accettabile che la BCE diventi il prestatore di ultima istanza dei 17 paesi, occorre allora trovare una soluzione che, aggirando l’ostacolo politico, faccia comunque riscorso al monopolista della moneta in Europa: la BCE. Sta alla leadership politica europea, che si è fin qui dimostrata inadeguata alla straordinaria sfida che abbiamo davanti, battere un colpo!
B. L’occupazione (e, di conseguenza, anche il credito bancario) cresce al crescere della domanda aggregata, e non per effetto delle liberalizzazioni, del pareggio di bilancio, o del ‘quantitative easing’ della BCE
Per uscire dalla recessione non bastano gli strumenti della BCE. Ed è chiaro che in un’unione monetaria non è possibile, per i motivi discussi sopra, affidarsi alle politiche fiscali espansive indipendenti dei singoli paesi, e che quindi una qualche forma di coordinamento fiscale è il prezzo inevitabile da pagare all’integrazione europea. Ma allora o si decide di elevare il limite del disavanzo concesso a tutti i paesi (una strada politicamente in salita all’attuale stato delle cose), oppure occorre trovare una strada comune che dia nuovo ossigeno all’economia europea oberata da una pressione fiscale troppo alta per la dimensione attuale di spesa pubblica.
Una strada meno soggetta a veti politici potrebbe essere questa*. L’Europa dovrebbe tenere un summit nel corso del quale i 17 paesi dell’euro concordano un considerevole taglio fiscale nell’intera area dell’euro. Può trattarsi di una riduzione di un imposta regressiva come l’Iva, oppure delle imposte che gravano sui redditi medi e bassi. Contestualmente, i governi europei dovrebbero annunciare che il calo di introiti corrisponderà a una raccolta attraverso titoli europei emessi dall’European Financial Stability Facility (EFSF) con la garanzia della BCE. Nello stesso summit i paesi dell’euro dovrebbero anche preannunciare che nel corso del summit successivo daranno il via ad una seconda emissione di Eurobonds diretta a sostenere un programma ambizioso di infrastrutture nel campo della comunicazione digitale, dei trasporti e dell’ambiente.
È chiedere troppo a questa Europa?
Andrea Terzi
* questa
(edited)
Dopo gli articoli apparsi sull’Economist e sul Washington Post e il reportage di Repubblica, è cresciuto l’interesse per l’economia ‘neo-cartalista’, nota anche con l’acronimo MMT (Modern Monetary Theory). Qui vorrei proporre ai lettori di Economia e Politica una sintesi dei concetti principali di questo approccio ‘eterodosso’ per ricavarne alcune ricette per l’Europa, in alternativa alla visione che domina il dibattito in corso, e che si può riassumere più o meno così:
La crisi dell’euro non è un problema della moneta unica europea, che invece ha dimostrato di mantenere stabile il proprio potere d’acquisto interno ed estero, grazie alla BCE. È piuttosto un problema di alcuni stati che hanno fallito su due fronti: la competitività e l’equilibrio dei conti pubblici. In altre parole, se fossimo tutti come la Germania l’area dell’euro godrebbe di ottima salute. Per quei paesi che hanno fallito, e che possono ancora rimboccarsi le maniche per evitare di uscire dall’euro, la ricetta è una sola: austerità e riforme strutturali, e quindi sacrifici fino a quando le riforme non daranno i loro frutti. È un cammino non breve, né facile, ma è l’unico percorribile: solo riducendo sprechi e costi di produzione (anche attraverso una minor tutela del lavoro dipendente) si riacquisterà la competitività che consentirà di creare nuovi posti di lavoro.
Secondo la MMT, le ragioni della crisi non sono affatto queste, né le ricette sul tavolo dell’Europa (e dell’Italia) hanno una qualche possibilità di successo. E in considerazione del fatto che l’Europa, tra summit, annunci della BCE e nuovi trattati, entra ormai nel terzo anno della “sua” crisi, può essere utile esaminare alcune proposizioni neo-cartaliste e valutare le proposte per l’Europa che se ne possono trarre. Si tratta, d’altra parte, di proposte condivise da un più ampio fronte di economisti di formazione keynesiana e postkeynesiana, con i quali la MMT condivide alcuni principi di fondo.
1. La moneta è un istituzione politica, non una manifestazione delle leggi del mercato
È il punto centrale della teoria neo-cartalista. La moneta, come gli scienziati sociali non economisti ben sanno, è un fenomeno politico-istituzionale, sia dal punto di vista storico che logico. È documento (‘carta’) emessa dallo stato. Non è la soluzione dei privati al problema dei costi di transazione. In un celebre articolo del 1998, Charles Goodhart[1] mosse una serie irresistibile di obiezioni alla teoria privata della moneta, concludendo che la costruzione dell’euro è a rischio: la separazione tra moneta e sovranità politica, spesso elogiata dagli architetti dell’euro come la vera forza della nuova moneta unica, costituisce invece un elemento di profonda fragilità. A distanza di oltre un decennio, I fatti danno ragione a Goodhart.
2. Ogni taglio della spesa e ogni aumento delle tasse riduce la ricchezza finanziaria di famiglie e imprese
Si tratta di un principio che si ricava dalla contabilità settoriale: il disavanzo finanziario di un settore corrisponde sempre ad un equivalente avanzo finanziario di un altro settore. Nel caso del disavanzo pubblico, la maggior ricchezza finanziaria del settore privato corrisponde all’emissione dei titoli e/o delle riserve bancarie prodotti dal disavanzo[2]. In altre parole, il disavanzo pubblico crea (non distrugge) risparmio privato.
Ciò significa che lo sforzo coordinato dell’Europa nel ridurre i disavanzi pubblici comporta una pari riduzione delle attività finanziarie di famiglie e imprese, con effetti depressivi su consumi, investimenti e occupazione. [3] È vero: anche nella letteratura mainstream non si legge più che l’austerità è espansiva. Ma qui c’è un aspetto in più: il disavanzo del settore pubblico è considerato l’unica sorgente netta di ricchezza finanziaria per il settore privato. L’unica alternativa, e cioè un avanzo commerciale con l’estero, è un gioco a somma a zero tra l’esportatore netto e l’importatore netto. Anche la Cina l’ha capito e si sta prudentemente spostando verso un maggior peso dei consumi interni, anche grazie al ruolo della politica fiscale. Gli Europei preferiscono invece la sterile virtù dei bilanci in pareggio.
3. Solo uno stato che si lega le mani rinunciando alla propria sovranità monetaria può trovarsi nell’impossibilità di pagare il servizio del debito
La politica fiscale di uno stato la cui moneta non sia vincolata da accordi di cambio è sempre libera di perseguire la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Il rischio di default dei titoli pubblici entra in gioco solo quando un paese intende garantire un tasso di conversione fisso della propria moneta con una valuta estera, oppure quando un paese rinuncia alla propria moneta.[4]
La crisi europea è dunque una crisi, in primo luogo, di sovranità monetaria. Questa, invece che essere trasferita dalla periferia al centro dell’Unione, è finita nelle mani della BCE, che ha poteri di gestione delle riserve nel sistema dei pagamenti, ma non di politica fiscale. In queste condizioni, era solo una questione di tempo (e di avverse condizioni dell’economia mondiale) prima che i paesi con i disavanzi pubblici e commerciali maggiori si trovassero in condizioni di rischio di default e si manifestasse la “crisi del debito sovrano”, che “sovrano”, in realtà non è più.
4. L’inflazione non è generata da tassi d’interesse troppo bassi, ma si manifesta invece per cause esterne (il prezzo del petrolio) oppure, per cause interne, a causa di un disavanzo pubblico eccessivo rispetto alla capacità produttiva del paese
Questa è la parte più eminentemente teorica. Più che di Modern Monetary Theory (che è un termine a mio parere poco pregnante) bisognerebbe parlare di “teoria del monopolio della moneta”. In altre parole, l’offerta di moneta è vista come un caso di monopolio del settore pubblico che è in grado, come insegna la teoria del monopolio, di fissarne il prezzo, lasciando che la quantità si aggiusti alla domanda. Allo stesso modo, lo stato è in grado di ancorare i prezzi (invece che all’oro) alla merce base dell’economia: il lavoro. Invece che utilizzare la disoccupazione come strumento per stabilizzare i salari, lo stato diventa il datore di lavoro di ultima istanza e fissa un salario minimo, dando un lavoro ai disoccupati.[5]
Che fare?
La crisi del debito “NON-sovrano” è diventata rapidamente una profonda crisi dell’occupazione e del futuro stesso dell’Europa e delle sue più giovani generazioni. La ricetta che più spesso viene ripetuta da politici, media e istituzioni è quella che conosciamo. L’alternativa offerta dall’approccio qui descritto si può invece riassumere in due pilastri fondamentali, cha partono dalla premessa che la crisi dell’euro è duplice: A) di finanziamento degli stati e B) di insufficiente domanda aggregata. E occorre una duplice risposta.
A. La crisi finanziaria si risolve unicamente con il coinvolgimento della BCE
Il susseguirsi di piani di salvataggio è un esercizio tecnicamente inefficace e pericoloso: paesi non sovrani non possono essere finanziati da altri paesi non sovrani. Se non è politicamente accettabile che la BCE diventi il prestatore di ultima istanza dei 17 paesi, occorre allora trovare una soluzione che, aggirando l’ostacolo politico, faccia comunque riscorso al monopolista della moneta in Europa: la BCE. Sta alla leadership politica europea, che si è fin qui dimostrata inadeguata alla straordinaria sfida che abbiamo davanti, battere un colpo!
B. L’occupazione (e, di conseguenza, anche il credito bancario) cresce al crescere della domanda aggregata, e non per effetto delle liberalizzazioni, del pareggio di bilancio, o del ‘quantitative easing’ della BCE
Per uscire dalla recessione non bastano gli strumenti della BCE. Ed è chiaro che in un’unione monetaria non è possibile, per i motivi discussi sopra, affidarsi alle politiche fiscali espansive indipendenti dei singoli paesi, e che quindi una qualche forma di coordinamento fiscale è il prezzo inevitabile da pagare all’integrazione europea. Ma allora o si decide di elevare il limite del disavanzo concesso a tutti i paesi (una strada politicamente in salita all’attuale stato delle cose), oppure occorre trovare una strada comune che dia nuovo ossigeno all’economia europea oberata da una pressione fiscale troppo alta per la dimensione attuale di spesa pubblica.
Una strada meno soggetta a veti politici potrebbe essere questa*. L’Europa dovrebbe tenere un summit nel corso del quale i 17 paesi dell’euro concordano un considerevole taglio fiscale nell’intera area dell’euro. Può trattarsi di una riduzione di un imposta regressiva come l’Iva, oppure delle imposte che gravano sui redditi medi e bassi. Contestualmente, i governi europei dovrebbero annunciare che il calo di introiti corrisponderà a una raccolta attraverso titoli europei emessi dall’European Financial Stability Facility (EFSF) con la garanzia della BCE. Nello stesso summit i paesi dell’euro dovrebbero anche preannunciare che nel corso del summit successivo daranno il via ad una seconda emissione di Eurobonds diretta a sostenere un programma ambizioso di infrastrutture nel campo della comunicazione digitale, dei trasporti e dell’ambiente.
È chiedere troppo a questa Europa?
Andrea Terzi
* questa
(edited)
La crisi dell’euro non è un problema della moneta unica europea, che invece ha dimostrato di mantenere stabile il proprio potere d’acquisto interno ed estero, grazie alla BCE. È piuttosto un problema di alcuni stati che hanno fallito su due fronti: la competitività e l’equilibrio dei conti pubblici. In altre parole, se fossimo tutti come la Germania l’area dell’euro godrebbe di ottima salute
a parte questa mostruosità che riporto qui sopra
(come se il potere d'acquisto della moneta fosse un metro buono per valutarne gli effetti..;
come se fosse possibile per tutti fare la Germania senza avere un continente da depredare e deindustrializzare;
come se fosse possibile fare produttività sul costo del lavoro senza avere un'area di esportazione vicina che prova a mantenere i suoi liv. di domanda..;
come se ci fosse una qualsiasi interazione tra debito pubblico e difficoltà di crescita..)
dicevo, a parte questo, il punto di vista è interessante.
a parte questa mostruosità che riporto qui sopra
(come se il potere d'acquisto della moneta fosse un metro buono per valutarne gli effetti..;
come se fosse possibile per tutti fare la Germania senza avere un continente da depredare e deindustrializzare;
come se fosse possibile fare produttività sul costo del lavoro senza avere un'area di esportazione vicina che prova a mantenere i suoi liv. di domanda..;
come se ci fosse una qualsiasi interazione tra debito pubblico e difficoltà di crescita..)
dicevo, a parte questo, il punto di vista è interessante.
hai letto male perchè in realtà riportandola tutta in corsivo viene male
quella parte che hai quotato tu è la tesi di chi sostiene l'austerity, lui, dopo quella frase, confuta questa tesi con l'MMT che è questo nuovo pensiero economico
quella parte che hai quotato tu è la tesi di chi sostiene l'austerity, lui, dopo quella frase, confuta questa tesi con l'MMT che è questo nuovo pensiero economico
almeno ogni tanto gira x il mondo qualche idea diversa da austerità e privatizzazioni, ma siam sempre fuori bersaglio: si ragiona sempre e solo di moneta e sovranità monetaria e banche centrali.
ottimi strumenti e potenti se usati bene, ma che ora non servono a un cazzo!
la via d'uscita è nella redistribuzione della ricchezza: posto quell'obiettivo si può anche e eventualmente usare la politica monetaria x raggiungerlo insieme ad altri strumenti.
ma al momento mi pare che il dibattito sia se usare il siero antivipera (mainstream) oppure il siero anticobra (MMT) per curare il paziente morso da un cane rabbioso: sono totalmente fuori strada tutti.
ottimi strumenti e potenti se usati bene, ma che ora non servono a un cazzo!
la via d'uscita è nella redistribuzione della ricchezza: posto quell'obiettivo si può anche e eventualmente usare la politica monetaria x raggiungerlo insieme ad altri strumenti.
ma al momento mi pare che il dibattito sia se usare il siero antivipera (mainstream) oppure il siero anticobra (MMT) per curare il paziente morso da un cane rabbioso: sono totalmente fuori strada tutti.
Leggi qualche twitter del figlio del papi del gruppo l'espresso per capire a che livello sono...
a spanne, ipotizzo che c'è un 95% sia di politici che di giornaisti, che non ne capiscono nulla di economia e si informano e fidano del restante 5%, che lavora in malafede profumatamente pagato da banche e finanze :(
a spanne, ipotizzo che c'è un 95% sia di politici che di giornaisti, che non ne capiscono nulla di economia e si informano e fidano del restante 5%, che lavora in malafede profumatamente pagato da banche e finanze :(
L'economia non si capisce. All'economia ci si abitua (semicit. by John V.N.)
La dinamica economica (e finanziaria, oramai) nessuno la può comprendere pienamente, perché mancano le informazioni.
Però si può capire la direzione.
Ecco, sulla direzione, entra in scena la propaganda.
Che funziona così: i think-tank privati, espressione di agglomerati finanziari, dettano la linea agli "editorialisti", che i media spacciano per saggi. Gli "editorialisti" saranno sì e no l'1% dei "giornalisti". Il restante 99% si adegua. Se non ti adegui, sei fuori dal sistema. Niente inviti in tv e radio. Niente salotti "buoni". Niente possibilità di entrare nei cda. Ma anche chi non si adegua è utile alla propaganda, in quanto utili a dimostrare che vige la democrazia.
Ma nessuno vi dirà mai che i trucchi della propaganda si spingono a livelli infantili, quali abbassare il microfono di un interlocutore scomodo in un talk-show, alzando simultaneamente quello dell'interlocutore di parte, in modo da dare la sensazione di una "vittoria dialettica", o disperdere l'attenzione sulle parole, mediante cambi di inquadratura, sovrapposizioni di voci, interruzioni di "servizio".
I "giornalisti" nei regimi, come quello attuale, sono fondamentali per garantire lo status quo. Non per nulla, il ganascia 70 anni fa ne istituì l'ordine.
(edited)
L'economia non si capisce. All'economia ci si abitua (semicit. by John V.N.)
La dinamica economica (e finanziaria, oramai) nessuno la può comprendere pienamente, perché mancano le informazioni.
Però si può capire la direzione.
Ecco, sulla direzione, entra in scena la propaganda.
Che funziona così: i think-tank privati, espressione di agglomerati finanziari, dettano la linea agli "editorialisti", che i media spacciano per saggi. Gli "editorialisti" saranno sì e no l'1% dei "giornalisti". Il restante 99% si adegua. Se non ti adegui, sei fuori dal sistema. Niente inviti in tv e radio. Niente salotti "buoni". Niente possibilità di entrare nei cda. Ma anche chi non si adegua è utile alla propaganda, in quanto utili a dimostrare che vige la democrazia.
Ma nessuno vi dirà mai che i trucchi della propaganda si spingono a livelli infantili, quali abbassare il microfono di un interlocutore scomodo in un talk-show, alzando simultaneamente quello dell'interlocutore di parte, in modo da dare la sensazione di una "vittoria dialettica", o disperdere l'attenzione sulle parole, mediante cambi di inquadratura, sovrapposizioni di voci, interruzioni di "servizio".
I "giornalisti" nei regimi, come quello attuale, sono fondamentali per garantire lo status quo. Non per nulla, il ganascia 70 anni fa ne istituì l'ordine.
(edited)
La dinamica economica (e finanziaria, oramai) nessuno la può comprendere pienamente, perché mancano le informazioni
a quanto pare siamo a un livello di disinformazione e manipolazione, da farti commettere un errore madornale mescolando economia e finanza.
l'economia è (dovrebbe essere) lo studio delle interazioni (in termini di scmabi di merci, prodotti, servizi ecc) tra persone, imprese e stati [definizione spicciola]
la finanza è (dovrebbe essere) uno strumento per agevolare gli scambi di cui sopra
ma ci hanno talmente imbottiti di panzane da credere che la finanza sia un'entità a sè stante, autunoma e indipendente. ci fanno credere che la finanza, che QUESTA finanza, sia indispensabile al funzionamento del sistema economico, e che QUESTO sistema economico sia indisppensabile per la nostra vita. 2 balle clamorose, ma che ripetute come vangelo vengono credute da tutti.
eppure il capitalismo è nato e si è sviluppato fino agli anni '70 con un sistema finanziario diverso.
c'è di più, l'umanità è nata e si è sviluppata fino al '700 senza il capitalismo
ergo nessuno dei 2 è necessario, men che meno indisensabile, per noi esseri umani
a quanto pare siamo a un livello di disinformazione e manipolazione, da farti commettere un errore madornale mescolando economia e finanza.
l'economia è (dovrebbe essere) lo studio delle interazioni (in termini di scmabi di merci, prodotti, servizi ecc) tra persone, imprese e stati [definizione spicciola]
la finanza è (dovrebbe essere) uno strumento per agevolare gli scambi di cui sopra
ma ci hanno talmente imbottiti di panzane da credere che la finanza sia un'entità a sè stante, autunoma e indipendente. ci fanno credere che la finanza, che QUESTA finanza, sia indispensabile al funzionamento del sistema economico, e che QUESTO sistema economico sia indisppensabile per la nostra vita. 2 balle clamorose, ma che ripetute come vangelo vengono credute da tutti.
eppure il capitalismo è nato e si è sviluppato fino agli anni '70 con un sistema finanziario diverso.
c'è di più, l'umanità è nata e si è sviluppata fino al '700 senza il capitalismo
ergo nessuno dei 2 è necessario, men che meno indisensabile, per noi esseri umani
io segnalo che se anche accettassimo i principi del capitalismo e del liberismo più sfrenato (principi che personalmente trovo molto discutibili) COMUNQUE faremmo un passo avanti rispetto ad adesso.
Ora il nostro sistema è riassumibile in capitalismo di stato (o dittatura del capitale finanziario che è lo stesso), e riassume in se i difetti dei sistemi statalisti con quelli di quelli liberisti.
Per questo quando sento dire che il "capitalismo ha fallito" mi viene da rispondere che il nostro non si può chiamare capitalismo!
Ora il nostro sistema è riassumibile in capitalismo di stato (o dittatura del capitale finanziario che è lo stesso), e riassume in se i difetti dei sistemi statalisti con quelli di quelli liberisti.
Per questo quando sento dire che il "capitalismo ha fallito" mi viene da rispondere che il nostro non si può chiamare capitalismo!