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Subject: Siria oggi
da qui: Tim Anderson
Alle accuse contro il regime di Damasco, Tim Anderson non crede: lo studioso australiano, autore del documentatissimo pamphlet “La sporca guerra contro la Siria” (appena portato nelle librerie italiane dalla casa editrice Zambon), è convinto che il governo di Assad sia al centro di una manipolazione complessiva, di cui fanno parte anche le minacce di Donald Trump riferite a possibili attacchi chimici.
Professore, lei non crede alle accuse statunitensi?
"Ancora una volta, sono accuse prive di sostanza reale, cioè sono normale teatro di propaganda, e sono utilizzate per tentare di coprire l'aggressione illegale e l’invasione della Siria".
La lettura mainstream del conflitto attribuisce al governo di Damasco l’uso di armi di sterminio. Ci spiega perché lei la rifiuta?
"Ho esaminato tante di queste affermazioni e sono sempre basate su prove false. Nel mio libro si parla ampiamente di due di questi casi: il massacro di Houla nel 2012 e l'attacco chimico di Ghouta nell'agosto 2013. Ci sono tante prove indipendenti che smentiscono le accuse contro le Forze armate siriane. Poi ci sono altri “massacri”, commessi dai jihadisti ma di cui è stato accusato l'esercito siriano: una versione che poi è stata smentita da giornalisti occidentali, come il massacro di Daraya (smentito da Robert Fisk) e il massacro di Aqrab (smentito da Alex Thompson), entrambi nel 2012. Non c'erano motivi credibili né prove indipendenti accettabili: dopo un po' è facile individuare un meccanismo che si ripete. Lo stesso vale per l’attacco con le armi chimiche a Khan Sheikhoun, abilmente e rapidamente smentito dall’analista indipendente Ted Postol".
Insomma, la narrazione dei gruppi ribelli è sempre manipolatoria?
"Il problema non è tanto che i gruppi qaedisti commettono atrocità e dicono bugie, è che gli Stati occidentali e i media sembrano aver abbandonato le proprie critiche, almeno per questa guerra. Ripetono le storie fabbricate da al Qaeda, mostrando disprezzo per ogni versione siriana".
Lei già aveva espresso perplessità sulla vicenda di Saydnaya, dove dovrebbe esserci una serie di forni destinati ad annullare le prove sui massacri compiuti dal regime siriano. Perché?
"Bastava sentire quello che l'ex ambasciatore britannico in Siria, Peter Ford, ha detto sui rapporti di Amnesty International usati dagli Usa per sostenere le accuse: “Chiaramente nessuno degli autori del rapporto è mai stato a Saydnaya, io invece sì. Quando ero ambasciatore britannico a Damasco ho avuto occasione di andarci diverse volte. Non sono mai entrato nella prigione, ma ho visto l'edificio, che non ha nessuna possibilità di accogliere 10-20.000 prigionieri tutti assieme. Ne poteva ospitare al massimo un decimo". Insomma, i rapporti che gli Usa adoperano per sostanziare queste accuse sono quanto meno fuorvianti".
Che pensa della repressione del dissenso da parte del regime siriano? Esiste in Siria un dissenso "civilizzato", o ci sono solo persone che combattono per altri interessi?
"In Siria c'è un'opposizione politica e civile, ma i media occidentali li ignorano. Fanno riferimento solo ai gruppi armati vicini ad Al Qaeda e ai Fratelli musulmani come "opposizione". Ma in nessun altro Paese questi gruppi sarebbero considerati come opposizione. Sarebbero definiti per quello che sono: terroristi. Il resto dei gruppi di opposizione non viene nemmeno preso in esame dai media occidentali. Sono critici con il governo, eppure hanno condannato gli attacchi armati».
La guerra civile siriana sembra un perfetto esempio di guerra degli inganni. Le bugie, le operazioni con falsa bandiera, la manipolazione estesa, le operazioni segrete. Perché tutto questo succede in Siria?
"La Siria era semplicemente la prossima nell'elenco, dopo le invasioni dell'Afghanistan (2001), dell’Iraq (2003), del Libano del sud (2006), della Libia (2011) e i falliti tentativi di neutralizzare l'Iran. L'amministrazione Obama ha proseguito il piano di Bush per un 'nuovo Medio Oriente' ma con nuove tecniche, durante la 'primavera araba', con guerra psicologica e jihadisti come armate interposte".
L'Occidente, Europa e Stati Uniti in particolare, hanno imparato qualcosa dalla guerra in Libia? Oggi molti sembrano rimpiangere Gheddafi.
"Dopo che l'obiettivo è raggiunto, gli aggressori occidentali non si occupano se i loro falsi pretesti vengono smascherati. George W. Bush e altri si permettono persino di scherzare sulle leggendarie 'armi di distruzione di massa' dell'Iraq. La Libia poi aveva i più alti standard di vita e lo status più elevato d'Africa nel trattamento delle donne. Qualcosa vorrà dire. Ma mentre la guerra in Siria è in corso, non possono ammettere la portata delle loro menzogne".
In un contesto di manipolazione, come possono i lettori farsi un'idea corretta di ciò che sta succedendo nel mondo?
"Devono cercare fonti indipendenti e allontanarsi dai media neo-coloniali. Questo significa superare l'indottrinamento che dice 'non puoi leggere i media russi, siriani, iracheni, iraniani ecc.' E’ indispensabile leggere "l'altro lato" per capire qualsiasi conflitto".
Alle accuse contro il regime di Damasco, Tim Anderson non crede: lo studioso australiano, autore del documentatissimo pamphlet “La sporca guerra contro la Siria” (appena portato nelle librerie italiane dalla casa editrice Zambon), è convinto che il governo di Assad sia al centro di una manipolazione complessiva, di cui fanno parte anche le minacce di Donald Trump riferite a possibili attacchi chimici.
Professore, lei non crede alle accuse statunitensi?
"Ancora una volta, sono accuse prive di sostanza reale, cioè sono normale teatro di propaganda, e sono utilizzate per tentare di coprire l'aggressione illegale e l’invasione della Siria".
La lettura mainstream del conflitto attribuisce al governo di Damasco l’uso di armi di sterminio. Ci spiega perché lei la rifiuta?
"Ho esaminato tante di queste affermazioni e sono sempre basate su prove false. Nel mio libro si parla ampiamente di due di questi casi: il massacro di Houla nel 2012 e l'attacco chimico di Ghouta nell'agosto 2013. Ci sono tante prove indipendenti che smentiscono le accuse contro le Forze armate siriane. Poi ci sono altri “massacri”, commessi dai jihadisti ma di cui è stato accusato l'esercito siriano: una versione che poi è stata smentita da giornalisti occidentali, come il massacro di Daraya (smentito da Robert Fisk) e il massacro di Aqrab (smentito da Alex Thompson), entrambi nel 2012. Non c'erano motivi credibili né prove indipendenti accettabili: dopo un po' è facile individuare un meccanismo che si ripete. Lo stesso vale per l’attacco con le armi chimiche a Khan Sheikhoun, abilmente e rapidamente smentito dall’analista indipendente Ted Postol".
Insomma, la narrazione dei gruppi ribelli è sempre manipolatoria?
"Il problema non è tanto che i gruppi qaedisti commettono atrocità e dicono bugie, è che gli Stati occidentali e i media sembrano aver abbandonato le proprie critiche, almeno per questa guerra. Ripetono le storie fabbricate da al Qaeda, mostrando disprezzo per ogni versione siriana".
Lei già aveva espresso perplessità sulla vicenda di Saydnaya, dove dovrebbe esserci una serie di forni destinati ad annullare le prove sui massacri compiuti dal regime siriano. Perché?
"Bastava sentire quello che l'ex ambasciatore britannico in Siria, Peter Ford, ha detto sui rapporti di Amnesty International usati dagli Usa per sostenere le accuse: “Chiaramente nessuno degli autori del rapporto è mai stato a Saydnaya, io invece sì. Quando ero ambasciatore britannico a Damasco ho avuto occasione di andarci diverse volte. Non sono mai entrato nella prigione, ma ho visto l'edificio, che non ha nessuna possibilità di accogliere 10-20.000 prigionieri tutti assieme. Ne poteva ospitare al massimo un decimo". Insomma, i rapporti che gli Usa adoperano per sostanziare queste accuse sono quanto meno fuorvianti".
Che pensa della repressione del dissenso da parte del regime siriano? Esiste in Siria un dissenso "civilizzato", o ci sono solo persone che combattono per altri interessi?
"In Siria c'è un'opposizione politica e civile, ma i media occidentali li ignorano. Fanno riferimento solo ai gruppi armati vicini ad Al Qaeda e ai Fratelli musulmani come "opposizione". Ma in nessun altro Paese questi gruppi sarebbero considerati come opposizione. Sarebbero definiti per quello che sono: terroristi. Il resto dei gruppi di opposizione non viene nemmeno preso in esame dai media occidentali. Sono critici con il governo, eppure hanno condannato gli attacchi armati».
La guerra civile siriana sembra un perfetto esempio di guerra degli inganni. Le bugie, le operazioni con falsa bandiera, la manipolazione estesa, le operazioni segrete. Perché tutto questo succede in Siria?
"La Siria era semplicemente la prossima nell'elenco, dopo le invasioni dell'Afghanistan (2001), dell’Iraq (2003), del Libano del sud (2006), della Libia (2011) e i falliti tentativi di neutralizzare l'Iran. L'amministrazione Obama ha proseguito il piano di Bush per un 'nuovo Medio Oriente' ma con nuove tecniche, durante la 'primavera araba', con guerra psicologica e jihadisti come armate interposte".
L'Occidente, Europa e Stati Uniti in particolare, hanno imparato qualcosa dalla guerra in Libia? Oggi molti sembrano rimpiangere Gheddafi.
"Dopo che l'obiettivo è raggiunto, gli aggressori occidentali non si occupano se i loro falsi pretesti vengono smascherati. George W. Bush e altri si permettono persino di scherzare sulle leggendarie 'armi di distruzione di massa' dell'Iraq. La Libia poi aveva i più alti standard di vita e lo status più elevato d'Africa nel trattamento delle donne. Qualcosa vorrà dire. Ma mentre la guerra in Siria è in corso, non possono ammettere la portata delle loro menzogne".
In un contesto di manipolazione, come possono i lettori farsi un'idea corretta di ciò che sta succedendo nel mondo?
"Devono cercare fonti indipendenti e allontanarsi dai media neo-coloniali. Questo significa superare l'indottrinamento che dice 'non puoi leggere i media russi, siriani, iracheni, iraniani ecc.' E’ indispensabile leggere "l'altro lato" per capire qualsiasi conflitto".
"Devono cercare fonti indipendenti e allontanarsi dai media neo-coloniali. Questo significa superare l'indottrinamento che dice 'non puoi leggere i media russi, siriani, iracheni, iraniani ecc.' E’ indispensabile leggere "l'altro lato" per capire qualsiasi conflitto".
questo pezzo è corretto, ma al contempo pericolosissimo.
si può finire vittime della propaganda dell'avversario.
Servono interpreti di fiducia che possano verificare le fonti e garantire terzietà ed onestà ma (scopro l'acqua calda) nessun giornale è prodotto per vendere copie e/o pubblicità.
questo pezzo è corretto, ma al contempo pericolosissimo.
si può finire vittime della propaganda dell'avversario.
Servono interpreti di fiducia che possano verificare le fonti e garantire terzietà ed onestà ma (scopro l'acqua calda) nessun giornale è prodotto per vendere copie e/o pubblicità.
Dato per scontato che in guerra la distinzione tra buoni e cattivi è solo di comodo e soprattutto in Siria di buoni non ce ne sono. Dato per scontato che i media occidentali sono posseduti dallo spirito di Goebbels, i russi non escono dal modello pravda e al jazeera è la voce di un emiro.
Da bush passando x obama e ora Trump davvero esiste una politica estera americana sul Medioriente? Temo che non esista nulla di simile solo iniziare guerre per vendere armi, senza avere strategie e obiettivi
Da bush passando x obama e ora Trump davvero esiste una politica estera americana sul Medioriente? Temo che non esista nulla di simile solo iniziare guerre per vendere armi, senza avere strategie e obiettivi
La strategia, penso, è la conservazione del primato politico mondiale e il mezzo privilegiato per conservarlo è l'ancora esistente superiorità militare.
La cosa più preoccupante è la crescente inconsistenza delle giustificazioni all'uso della forza che denota un grave scadimento di pensiero politico: all'epoca delle prime guerre del golfo o anche della guerra al regime talebano c'erano motivazioni "solide" (per quanto non necessariamente "vere" o bastevoli a giustificare una guerra) e c'era la copertura diplomatica di un'alleanza o di passaggi politici all'ONU.
Ora gli USA fanno da soli, quando gli pare, cercando gli alleati sul posto (senza preoccuparsi della coerenza di ritrovarsi a fianco di Al-Qaeda e simili) o creandoli ex-novo se non ce ne sono disponibili (come con le varie "primavere" arabe o ucraine); ora sappiamo che, se lo ritengono opportuno, possono lanciare 50 missili lì o là oppure, come in questi giorni, pianificare un intervento militare sulla base della "preparazione di un attacco chimico di Assad"... la tendenza attuale è insomma quella di agire nell'illegalità diplomatica.
Putin ha capito benissimo la debolezza americana e gli contrappone la capacità di agire sui diversi scenari con le spalle coperte da "ragioni" (uso le virgolette perchè sono comunque finzioni di una politica di potenza) più convincenti e meglio fondate.
Non è una mera questione formale: rispettare le regole della diplomazia implica assoggettare il perseguimento dei propri interessi ai limiti posti dagli interessi altrui, mentre non farlo ti trasforma in un pericolo pubblico poco distinguibile da quel tale di nome Kim.
La cosa più preoccupante è la crescente inconsistenza delle giustificazioni all'uso della forza che denota un grave scadimento di pensiero politico: all'epoca delle prime guerre del golfo o anche della guerra al regime talebano c'erano motivazioni "solide" (per quanto non necessariamente "vere" o bastevoli a giustificare una guerra) e c'era la copertura diplomatica di un'alleanza o di passaggi politici all'ONU.
Ora gli USA fanno da soli, quando gli pare, cercando gli alleati sul posto (senza preoccuparsi della coerenza di ritrovarsi a fianco di Al-Qaeda e simili) o creandoli ex-novo se non ce ne sono disponibili (come con le varie "primavere" arabe o ucraine); ora sappiamo che, se lo ritengono opportuno, possono lanciare 50 missili lì o là oppure, come in questi giorni, pianificare un intervento militare sulla base della "preparazione di un attacco chimico di Assad"... la tendenza attuale è insomma quella di agire nell'illegalità diplomatica.
Putin ha capito benissimo la debolezza americana e gli contrappone la capacità di agire sui diversi scenari con le spalle coperte da "ragioni" (uso le virgolette perchè sono comunque finzioni di una politica di potenza) più convincenti e meglio fondate.
Non è una mera questione formale: rispettare le regole della diplomazia implica assoggettare il perseguimento dei propri interessi ai limiti posti dagli interessi altrui, mentre non farlo ti trasforma in un pericolo pubblico poco distinguibile da quel tale di nome Kim.
"Devono cercare fonti indipendenti e allontanarsi dai media neo-coloniali. Questo significa superare l'indottrinamento che dice 'non puoi leggere i media russi, siriani, iracheni, iraniani ecc.' E’ indispensabile leggere "l'altro lato" per capire qualsiasi conflitto".
questo pezzo è corretto, ma al contempo pericolosissimo.
si può finire vittime della propaganda dell'avversario.
quello che suggerisce però, almeno lo leggo così, non è di passare dal credere agli uni al credere agli altri, quanto di considerare entrambi, e di leggerli per quello che sono... e cioè propaganda entrambi.
Meno più meno uguale più :)
questo pezzo è corretto, ma al contempo pericolosissimo.
si può finire vittime della propaganda dell'avversario.
quello che suggerisce però, almeno lo leggo così, non è di passare dal credere agli uni al credere agli altri, quanto di considerare entrambi, e di leggerli per quello che sono... e cioè propaganda entrambi.
Meno più meno uguale più :)
Se lo scopo americano è conservare la supremazia mondiale lo stanno fallendo alla grandissima: muoversi a caso senza portare mai a casa vittorie ha dimostrato a tutti (russia cina germania) che la supremazia l'hanno già persa.
Non possono essere sfidati apertamente perché restano ancora il primo paese per potenza militare ma non sono in grado di usarlo per ottenere vantaggi.
Un po' come l'impero romano nel 300 d.c.
Non possono essere sfidati apertamente perché restano ancora il primo paese per potenza militare ma non sono in grado di usarlo per ottenere vantaggi.
Un po' come l'impero romano nel 300 d.c.
ah la brava ragazza andata a combattere per i propri ideali... io la lascerei lì -.-
http://tv.liberoquotidiano.it/video/esteri/13214523/linda-wenzel-arrestata-moglie-ceceno-isis-jihad-iraq.html
http://tv.liberoquotidiano.it/video/esteri/13214523/linda-wenzel-arrestata-moglie-ceceno-isis-jihad-iraq.html
se devi fare guerra alla Corea del Nord, per prima cosa sarebbe bene sapere dov'è...
https://www.facebook.com/OccupyDemocrats/videos/1649247571834957/
https://www.facebook.com/OccupyDemocrats/videos/1649247571834957/
Beh mi ricorda la biografia di Hendrix, negli anni '60 era a naja in Europa con i paracadutisti (101^) e lui disse, andammo a lanciarci in "un posto chiamato Austria". Immagino vicino ad un posto chiamato svizzera e Italia....
E' chiaramente una situazione da LOL ma non mi scandalizzerei troppo dato che l'ignoranza geografica impera ovunque, Italia compresa.
A tal proposito mi torna alla mente Ambrose Gwinnett Bierce (statunitene pure lui, tanto per restare in tema :D ) che se ne uscì con questa mitica frase:
“Dio usa le guerre per insegnare la geografia alla gente.”
Vai a dargli torto. :)
A tal proposito mi torna alla mente Ambrose Gwinnett Bierce (statunitene pure lui, tanto per restare in tema :D ) che se ne uscì con questa mitica frase:
“Dio usa le guerre per insegnare la geografia alla gente.”
Vai a dargli torto. :)
se ti guardi il milanese imbruttito su youtube vedi di peggio ;)
l'avanzata di Assad su Deir Ezzor e la discesa curda vers l'Eufrate. Obiettivo Petrolio? Certamente i Curdi sono un po' fuori rispetto al progetto Kurdistan indipendente per il quale già possono contare sull'ostilità di Turchia e Iraq. Provocare (anche se è probabile sia già avvenuto) una coalizione Turchia-Iraq-Iran-Siria-Russia in modalità anti-curda non pare una buona idea... ma agli USA forse sì.
rosa= SAA (Assad-RUSSIA)
giallo= SDF (Curdi-USA)
grigio a Est= PETROLIO
da Il Mattino del 9 settembre 2017 (titolo originale “Siria, il duro colpo di Assad e Putin alla trincea Isis”).
Le ambigue operazioni americane sul fronte siriano
Anche se in Occidente se ne parla pochissimo, la guerra contro lo Stato Islamico in Medio Oriente ha registrato in questi gironi una significativa vittoria nel settore strategico di Deir Ezzor, nella Siria orientale, dove le truppe di Damasco appoggiate da aerei e forze speciali di Mosca hanno sfondato le linee nemiche ricongiungendosi con le guarnigioni assediate dai jihadisti da oltre due anni.
Una vittoria da consolidare perché i miliziani hanno ancora la capacità di contrattaccare e controllano molti quartieri della città abitati da circa 10 mila civili. Ciò nonostante il governo di Bashar Assad ha ripreso i pozzi di petrolio della regione che per tre anni hanno contribuito a sostenere finanziariamente il Califfato e, sul piano militare, si trova nelle condizioni ottimali per liberare la città, riconquistare l’intera area di confine con l’Iraq e lanciare l’offensiva per liberare gli ultimi possedimenti dell’IS.
La rapida avanzata delle truppe di Damasco ha visto le forze speciali statunitensi intervenire nelle ultime due settimane con operazioni di evacuazione che sollevano non poche perplessità.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, (Ondus, ong con sede a Londra vicina ai ribelli “moderati” anti Assad che dispone di una vasta rete di osservatori in tutta la Siria) ha rivelato che gli americani hanno effettuato operazioni lampo con forze speciali tese a recuperare spie e collaboratori infiltrati nei ranghi dell’IS.
L’Ondus e fonti locali citate dal quotidiano panarabo al-Hayat hanno riferito che dal 20 agosto elicotteri della Coalizione hanno prelevato presunti miliziani jihadisti, molti dei quali di nazionalità europea, cioè “foreign fighters”. Le missioni si sono svolte nei distretti di Tibni e Bulayl, nei pressi di Deir Ezzor.
Fonti militari e diplomatiche anonime citate da Sputnik, testata russa di Stato, accusano gli Stati Uniti di aver evacuato da quella zona per via aerea oltre 20 comandanti dello Stato Islamico con le loro famiglie.
Il comando della Coalizione ha negato definendo false le rivelazioni delle fonti citate da Sputnik, che potrebbero facilmente essere russe, le quali hanno rivelato dettagli interessanti. La notte del 26 agosto un elicottero americano avrebbe evacuato due comandanti dell’IS di origine europea, insieme a membri delle loro famiglie, da un’area a nord ovest di Deir Ezzor mentre altri 20 comandanti e miliziani del Califfato sarebbero stati recuperati in un’area a sud est della città e trasferiti nel nord della Siria.
Le rivelazioni di Sputnik sembrano quini combaciare con quelle dell’Ondus e delle fonti siriane citate da al-Hayat.
Resta da chiarire il ruolo delle persone poste in salvo dagli statunitensi: spie e informatori oppure leader militari dell’IS utili per continuare a combattere le forze di Damasco e i loro alleati russi, iraniani ed Hezbollah libanesi?
Entrambe le opzioni risultano credibili pur con qualche necessaria riflessione. Più che logico che gli Stati Uniti evacuino spie e informatori infiltrati nei ranghi dell’IS per impedire che vengano uccisi o catturati da russi e siriani che potrebbero così ottenere importanti informazioni sulla rete d’intelligence americana nel paese.
Un numero così elevato di uomini del Califfato messi in salvo dalle forze speciali e soprattutto le loro qualifiche di comandanti militari suscita inevitabilmente sospetti circa la natura delle informazioni che gli uomini dell’IS fornivano agli statunitensi. Il dubbio è che invece di tradire la causa jihadista gli informatori fornissero dati sulle forze russe, siriane e iraniane schierate in quel settore.
L’evacuazione mirava forse anche a evitare che i comandanti dell’IS “amici” degli USA venissero uccisi dai raid aerei russi come quello reso noto ieri che a Deir Ezzor ha ucciso 40 miliziani tra i quali 4 leader e Gulmurod Khalimov, ex colonnello tagiko considerato il ”ministro della Guerra” del Califfato.
D’altra parte gli americani non sono quasi mai interventi nella battaglia di Deir Ezzor se non quando, esattamente un anno or sono, 37 attacchi aerei uccisero un centinaio di militari siriani ferendone almeno altrettanti, proprio mentre i miliziani jihadisti cercavano di sfondare le linee governative che difendevano l’aeroporto, infrastruttura vitale per rifornire la guarnigione assediata.
“Un errore”, si giustificò il comando della Coalizione, ma a Damasco quel raid suonò come la conferma del sostegno statunitense anche allo Stato Islamico, oltre che alle altre milizie che hanno combattuto dal 2011 il regime di Assad.
Un confronto combattuto anche sul fronte mediatico: non è forse un caso che la vittoria di Assad e Putin a Deir Ezzor sia stata “oscurata” dall’ennesimo rapporto della Commissione d’inchiesta dell’Onu che accusa Damasco (che ha sempre negato) di aver usato il gas nervino sarin il 4 aprile scorso a Khan Sheikhoun, dove morirono 87 persone.
Non è casuale neppure che nelle ultime settimane Usa e Gran Bretagna abbiano chiuso i programmi di addestramento e armamento dei ribelli siriani cosiddetti “moderati”, ormai vani dopo le vittorie militari di Damasco e dopo che molti combattenti erano confluiti nelle poco “moderate” milizie Salafite, del Califfato e dei qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra.
Del resto negli ultimi mesi caccia e droni americani hanno attaccato più volte le truppe di Assad vicino ai confini giordani e a sud di Raqqa, per proteggere le forze ribelli sostenute dagli Usa e impedire ai governativi di riconquistare la capitale dello Stato Islamico altre aree strategiche del territorio siriano.
A rafforzare i dubbi circa le ambiguità americane, Mosca e Damasco denunciarono il “corridoio” lasciato aperto nell’autunno scorso a nord di Mosul per consentire alle milizie del Califfato di lasciare la città irachena investita dall’offensiva delle forze di Baghdad e raggiungere proprio la regione siriana di Deir Ezzor. “Corridoio” poi chiuso dalle milizie scite irachene filo-iraniane.
Washington sembra quindi considerare il conflitto siriano sempre meno un fronte della pur blanda guerra condotta negli ultimi tre anni a Usa e Coalizione contro lo Stato Islamico e sempre di più un fronte del confronto ormai globale con la Russia e contro l’asse scita guidato dall’Iran.
Un asse che, una volta spazzato via il Califfato, avrà un’ampia continuità territoriale che comprenderà Iran, Iraq e Siria fino al Libano meridionale in mano a Hezbollah. Un incubo strategico per Israele (che anche nei giorni scorsi ha colpito installazioni militari in Siria) ma considerato una grave minaccia anche dalle monarchie sunnite del Golfo e dall’Amministrazione Trump.
(edited)
(edited)
rosa= SAA (Assad-RUSSIA)
giallo= SDF (Curdi-USA)
grigio a Est= PETROLIO
da Il Mattino del 9 settembre 2017 (titolo originale “Siria, il duro colpo di Assad e Putin alla trincea Isis”).
Le ambigue operazioni americane sul fronte siriano
Anche se in Occidente se ne parla pochissimo, la guerra contro lo Stato Islamico in Medio Oriente ha registrato in questi gironi una significativa vittoria nel settore strategico di Deir Ezzor, nella Siria orientale, dove le truppe di Damasco appoggiate da aerei e forze speciali di Mosca hanno sfondato le linee nemiche ricongiungendosi con le guarnigioni assediate dai jihadisti da oltre due anni.
Una vittoria da consolidare perché i miliziani hanno ancora la capacità di contrattaccare e controllano molti quartieri della città abitati da circa 10 mila civili. Ciò nonostante il governo di Bashar Assad ha ripreso i pozzi di petrolio della regione che per tre anni hanno contribuito a sostenere finanziariamente il Califfato e, sul piano militare, si trova nelle condizioni ottimali per liberare la città, riconquistare l’intera area di confine con l’Iraq e lanciare l’offensiva per liberare gli ultimi possedimenti dell’IS.
La rapida avanzata delle truppe di Damasco ha visto le forze speciali statunitensi intervenire nelle ultime due settimane con operazioni di evacuazione che sollevano non poche perplessità.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, (Ondus, ong con sede a Londra vicina ai ribelli “moderati” anti Assad che dispone di una vasta rete di osservatori in tutta la Siria) ha rivelato che gli americani hanno effettuato operazioni lampo con forze speciali tese a recuperare spie e collaboratori infiltrati nei ranghi dell’IS.
L’Ondus e fonti locali citate dal quotidiano panarabo al-Hayat hanno riferito che dal 20 agosto elicotteri della Coalizione hanno prelevato presunti miliziani jihadisti, molti dei quali di nazionalità europea, cioè “foreign fighters”. Le missioni si sono svolte nei distretti di Tibni e Bulayl, nei pressi di Deir Ezzor.
Fonti militari e diplomatiche anonime citate da Sputnik, testata russa di Stato, accusano gli Stati Uniti di aver evacuato da quella zona per via aerea oltre 20 comandanti dello Stato Islamico con le loro famiglie.
Il comando della Coalizione ha negato definendo false le rivelazioni delle fonti citate da Sputnik, che potrebbero facilmente essere russe, le quali hanno rivelato dettagli interessanti. La notte del 26 agosto un elicottero americano avrebbe evacuato due comandanti dell’IS di origine europea, insieme a membri delle loro famiglie, da un’area a nord ovest di Deir Ezzor mentre altri 20 comandanti e miliziani del Califfato sarebbero stati recuperati in un’area a sud est della città e trasferiti nel nord della Siria.
Le rivelazioni di Sputnik sembrano quini combaciare con quelle dell’Ondus e delle fonti siriane citate da al-Hayat.
Resta da chiarire il ruolo delle persone poste in salvo dagli statunitensi: spie e informatori oppure leader militari dell’IS utili per continuare a combattere le forze di Damasco e i loro alleati russi, iraniani ed Hezbollah libanesi?
Entrambe le opzioni risultano credibili pur con qualche necessaria riflessione. Più che logico che gli Stati Uniti evacuino spie e informatori infiltrati nei ranghi dell’IS per impedire che vengano uccisi o catturati da russi e siriani che potrebbero così ottenere importanti informazioni sulla rete d’intelligence americana nel paese.
Un numero così elevato di uomini del Califfato messi in salvo dalle forze speciali e soprattutto le loro qualifiche di comandanti militari suscita inevitabilmente sospetti circa la natura delle informazioni che gli uomini dell’IS fornivano agli statunitensi. Il dubbio è che invece di tradire la causa jihadista gli informatori fornissero dati sulle forze russe, siriane e iraniane schierate in quel settore.
L’evacuazione mirava forse anche a evitare che i comandanti dell’IS “amici” degli USA venissero uccisi dai raid aerei russi come quello reso noto ieri che a Deir Ezzor ha ucciso 40 miliziani tra i quali 4 leader e Gulmurod Khalimov, ex colonnello tagiko considerato il ”ministro della Guerra” del Califfato.
D’altra parte gli americani non sono quasi mai interventi nella battaglia di Deir Ezzor se non quando, esattamente un anno or sono, 37 attacchi aerei uccisero un centinaio di militari siriani ferendone almeno altrettanti, proprio mentre i miliziani jihadisti cercavano di sfondare le linee governative che difendevano l’aeroporto, infrastruttura vitale per rifornire la guarnigione assediata.
“Un errore”, si giustificò il comando della Coalizione, ma a Damasco quel raid suonò come la conferma del sostegno statunitense anche allo Stato Islamico, oltre che alle altre milizie che hanno combattuto dal 2011 il regime di Assad.
Un confronto combattuto anche sul fronte mediatico: non è forse un caso che la vittoria di Assad e Putin a Deir Ezzor sia stata “oscurata” dall’ennesimo rapporto della Commissione d’inchiesta dell’Onu che accusa Damasco (che ha sempre negato) di aver usato il gas nervino sarin il 4 aprile scorso a Khan Sheikhoun, dove morirono 87 persone.
Non è casuale neppure che nelle ultime settimane Usa e Gran Bretagna abbiano chiuso i programmi di addestramento e armamento dei ribelli siriani cosiddetti “moderati”, ormai vani dopo le vittorie militari di Damasco e dopo che molti combattenti erano confluiti nelle poco “moderate” milizie Salafite, del Califfato e dei qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra.
Del resto negli ultimi mesi caccia e droni americani hanno attaccato più volte le truppe di Assad vicino ai confini giordani e a sud di Raqqa, per proteggere le forze ribelli sostenute dagli Usa e impedire ai governativi di riconquistare la capitale dello Stato Islamico altre aree strategiche del territorio siriano.
A rafforzare i dubbi circa le ambiguità americane, Mosca e Damasco denunciarono il “corridoio” lasciato aperto nell’autunno scorso a nord di Mosul per consentire alle milizie del Califfato di lasciare la città irachena investita dall’offensiva delle forze di Baghdad e raggiungere proprio la regione siriana di Deir Ezzor. “Corridoio” poi chiuso dalle milizie scite irachene filo-iraniane.
Washington sembra quindi considerare il conflitto siriano sempre meno un fronte della pur blanda guerra condotta negli ultimi tre anni a Usa e Coalizione contro lo Stato Islamico e sempre di più un fronte del confronto ormai globale con la Russia e contro l’asse scita guidato dall’Iran.
Un asse che, una volta spazzato via il Califfato, avrà un’ampia continuità territoriale che comprenderà Iran, Iraq e Siria fino al Libano meridionale in mano a Hezbollah. Un incubo strategico per Israele (che anche nei giorni scorsi ha colpito installazioni militari in Siria) ma considerato una grave minaccia anche dalle monarchie sunnite del Golfo e dall’Amministrazione Trump.
(edited)
(edited)
uhm.....sono un pò perplesso.... mi spiego...pur con tutta la crudezza dei combattimenti questo sta diventando un assedio alla stalingrado come tempi.
le forze no-isis dovrebbero essere soverchianti, ma sono mesi che non chiudono la questione.
le forze no-isis dovrebbero essere soverchianti, ma sono mesi che non chiudono la questione.