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Subject: Brexit - il referendum
ah..
mettiamo a referto la prima previsione sbagliata di Bagnai in oltre 5 anni.
penso sia la seconda
ha sbagliato qualcos'altro che adesso non ricordo, ma ne parlava anche in una conferenza recente
mettiamo a referto la prima previsione sbagliata di Bagnai in oltre 5 anni.
penso sia la seconda
ha sbagliato qualcos'altro che adesso non ricordo, ma ne parlava anche in una conferenza recente
Grandi, solo loro e i francesi potevano fare qualcosa di simile, da noi vincerebbero i pro euro nettamente, perché i giovani radical chic fuoricorso in lettere non voterebbero mai come "ha stato salvinnniiiiii"
Anche se i vecchi son nostalgici e vogliono la liretta :D
Anche se i vecchi son nostalgici e vogliono la liretta :D
da noi vincerebbero i pro euro nettamente
è il motivo principale per cui il referendum dei 5S è una presa per il cubo
è il motivo principale per cui il referendum dei 5S è una presa per il cubo
solo loro e i francesi potevano fare qualcosa di simile
i francesi saranno i prossimi a tentare l'impresa...
tra l'altro alla luce di quanto successo ieri si parla di un nuovo referendum in scozia
i francesi saranno i prossimi a tentare l'impresa...
tra l'altro alla luce di quanto successo ieri si parla di un nuovo referendum in scozia
I tentativi saranno tanti e da tutti i paesi.
In Danimarca si paventa da tempo un referendum simile, in Olanda è probabilissimo che ci sarà.
In Francia già si sa benissimo che se dovesse vincere Le Pen, il giorno dopo avrebbero firmato l'uscita da euro e UE. L'Austria ha una posizione simile.
Poi ci sono tutte le possibili "uscite da sinistra", che sono soprattutto Spagna e Grecia.
E secondo me, anche l'Italia avrà le sue carte da giocare. Renzi ha una data di scadenza più breve di quella dello yougurt.
Per quanto riguarda Scozia e Irlanda del Nord, bisogna intanto dire che in Irlanda del Nord ha vinto il remain con il 55%, mentre in Scozia si è superato (di poco) il 60%. Ma voteranno mai l'uscita dall'UK? Sinceramente ne dubito. Ma ora gli scenari sono totalmente aperti.
In conclusione, alla fine questo referendum è stato un enorme schiaffo in faccia a Junker, Tusk, Schulz, Pittella, Monti, Draghi e a tutti questi spocchiosi che vivono nel super-lusso mentre i popoli soffrono la fame per colpa delle loro decisioni. E' anche uno schiaffo fortissimo alla stra-grande maggioranza dei politici europei, oltre che a buona parte della stampa europea (italiana in primis), che hanno dimostrato il loro totale distaccamento dai problemi dei cittadini/sudditi.
Vince Boris Johnsonn, ma soprattutto vince Nigel Farage.
Devo indagare, ma credo proprio che una quindicina di anni fa Fassino abbia detto che "se Farage è stanco della burocrazia e dell'Europa, fondi il suo partito. Esca dai Tories, si presenti col suo partito e vediamo quanti voti prende!"...
In Danimarca si paventa da tempo un referendum simile, in Olanda è probabilissimo che ci sarà.
In Francia già si sa benissimo che se dovesse vincere Le Pen, il giorno dopo avrebbero firmato l'uscita da euro e UE. L'Austria ha una posizione simile.
Poi ci sono tutte le possibili "uscite da sinistra", che sono soprattutto Spagna e Grecia.
E secondo me, anche l'Italia avrà le sue carte da giocare. Renzi ha una data di scadenza più breve di quella dello yougurt.
Per quanto riguarda Scozia e Irlanda del Nord, bisogna intanto dire che in Irlanda del Nord ha vinto il remain con il 55%, mentre in Scozia si è superato (di poco) il 60%. Ma voteranno mai l'uscita dall'UK? Sinceramente ne dubito. Ma ora gli scenari sono totalmente aperti.
In conclusione, alla fine questo referendum è stato un enorme schiaffo in faccia a Junker, Tusk, Schulz, Pittella, Monti, Draghi e a tutti questi spocchiosi che vivono nel super-lusso mentre i popoli soffrono la fame per colpa delle loro decisioni. E' anche uno schiaffo fortissimo alla stra-grande maggioranza dei politici europei, oltre che a buona parte della stampa europea (italiana in primis), che hanno dimostrato il loro totale distaccamento dai problemi dei cittadini/sudditi.
Vince Boris Johnsonn, ma soprattutto vince Nigel Farage.
Devo indagare, ma credo proprio che una quindicina di anni fa Fassino abbia detto che "se Farage è stanco della burocrazia e dell'Europa, fondi il suo partito. Esca dai Tories, si presenti col suo partito e vediamo quanti voti prende!"...
Cameron quindi ha mentito (che sorpresa!) quando disse "in caso di brexit non mi dimetterò"
era solo una mossa per non far guadagnare consensi al "leave"
un quaquaraqua
era solo una mossa per non far guadagnare consensi al "leave"
un quaquaraqua
completo come sunto su scenario e tempi?
1. Il primo ministro britannico David Cameron, che aveva voluto il referendum ma poi aveva fatto campagna per la permanenza nell’Unione Europea, ha annunciato le sue dimissioni entro tre mesi. Sarà sostituito da un nuovo primo ministro scelto dal partito conservatore.
2. Il Regno Unito dovrà comunicare formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare l’Unione Europea, facendo appello all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, il documento fondamentale dell’Unione Europea.
Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.
Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
3. Regno Unito e Unione Europea dovrebbero allora cominciare a rinegoziare gli accordi che regolano i loro rapporti. L’articolo stabilisce un limite di tempo di due anni per questo processo, e in questo spazio di tempo il paese che vuole uscire dovrà continuare a rispettare i regolamenti europei, ma non parteciperà più al processo decisionale dell’Unione.
4. Nello stesso tempo, il Regno Unito e l’Unione Europea dovrebbero stabilire un nuovo accordo che regoli i loro rapporti commerciali. È possibile che il nuovo accordo tenda a ridurre le conseguenze sul commercio dell’uscita dall’UE del Regno Unito, ma molti considerano plausibile anche lo scenario opposto: l’UE vorrà dimostrare che uscire ha un prezzo, e non che tutto sommato si può fare senza perdere niente.
5. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona prevede che, al termine dei due anni, il Consiglio europeo formuli una proposta di accordo con un voto a maggioranza dei suoi membri. L’accordo andrà poi approvato anche dal Parlamento europeo e infine il paese che vuole uscire avrà la possibilità di accettare o respingere la proposta. Il Regno Unito, probabilmente, la sottoporrà a un voto del Parlamento.
6. Il problema è che queste trattative rischiano di richiedere molto più dei due anni previsti dal trattato. Canada ed Unione Europea, ad esempio, stanno trattando da oltre sette anni per stabilire un nuovo accordo commerciale e il risultato dei negoziati deve ancora essere ratificato. L’articolo 50 prevede la possibilità di estendere ulteriormente il tempo dei negoziati, ma soltanto se entrambe le parti sono d’accordo. Questo significa che, dopo due anni, l’Europa potrebbe presentare un accordo al Regno Unito “prendere o lasciare”.
7. Quando l’accordo verrà trovato e votato, il Regno Unito cesserà di essere un membro dell’Unione Europea.
1. Il primo ministro britannico David Cameron, che aveva voluto il referendum ma poi aveva fatto campagna per la permanenza nell’Unione Europea, ha annunciato le sue dimissioni entro tre mesi. Sarà sostituito da un nuovo primo ministro scelto dal partito conservatore.
2. Il Regno Unito dovrà comunicare formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare l’Unione Europea, facendo appello all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, il documento fondamentale dell’Unione Europea.
Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.
Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
3. Regno Unito e Unione Europea dovrebbero allora cominciare a rinegoziare gli accordi che regolano i loro rapporti. L’articolo stabilisce un limite di tempo di due anni per questo processo, e in questo spazio di tempo il paese che vuole uscire dovrà continuare a rispettare i regolamenti europei, ma non parteciperà più al processo decisionale dell’Unione.
4. Nello stesso tempo, il Regno Unito e l’Unione Europea dovrebbero stabilire un nuovo accordo che regoli i loro rapporti commerciali. È possibile che il nuovo accordo tenda a ridurre le conseguenze sul commercio dell’uscita dall’UE del Regno Unito, ma molti considerano plausibile anche lo scenario opposto: l’UE vorrà dimostrare che uscire ha un prezzo, e non che tutto sommato si può fare senza perdere niente.
5. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona prevede che, al termine dei due anni, il Consiglio europeo formuli una proposta di accordo con un voto a maggioranza dei suoi membri. L’accordo andrà poi approvato anche dal Parlamento europeo e infine il paese che vuole uscire avrà la possibilità di accettare o respingere la proposta. Il Regno Unito, probabilmente, la sottoporrà a un voto del Parlamento.
6. Il problema è che queste trattative rischiano di richiedere molto più dei due anni previsti dal trattato. Canada ed Unione Europea, ad esempio, stanno trattando da oltre sette anni per stabilire un nuovo accordo commerciale e il risultato dei negoziati deve ancora essere ratificato. L’articolo 50 prevede la possibilità di estendere ulteriormente il tempo dei negoziati, ma soltanto se entrambe le parti sono d’accordo. Questo significa che, dopo due anni, l’Europa potrebbe presentare un accordo al Regno Unito “prendere o lasciare”.
7. Quando l’accordo verrà trovato e votato, il Regno Unito cesserà di essere un membro dell’Unione Europea.
l’UE vorrà dimostrare che uscire ha un prezzo, e non che tutto sommato si può fare senza perdere niente.
Tradotto: tagliarsi l'uccello per far dispetto alla moglie
o forse è tagliarci l'uccello per far dispetto alla moglie di qualcunaltro..
Tradotto: tagliarsi l'uccello per far dispetto alla moglie
o forse è tagliarci l'uccello per far dispetto alla moglie di qualcunaltro..
M5S di spagna.
cambiamo da dentro e vaccate di conseguenza.
Spiace dirlo ma sarà la destra a salvare il continente.
(edited)
l’UE vorrà dimostrare che uscire ha un prezzo, e non che tutto sommato si può fare senza perdere niente.
Tradotto: tagliarsi l'uccello per far dispetto alla moglie
o forse è tagliarci l'uccello per far dispetto alla moglie di qualcunaltro..
oppure tagliare l'uccello di un altro e fare dispetto proprio al proprietario dell'uccello
comunque mi premeva capire se la cronologia degli eventi e dei tempi per l'uscita così come è riportata nell'articolo che ho incollato fosse chiara e oggettiva tanto per mettere un po di paletti almeno sui tempi del processo di uscita.
Tradotto: tagliarsi l'uccello per far dispetto alla moglie
o forse è tagliarci l'uccello per far dispetto alla moglie di qualcunaltro..
oppure tagliare l'uccello di un altro e fare dispetto proprio al proprietario dell'uccello
comunque mi premeva capire se la cronologia degli eventi e dei tempi per l'uscita così come è riportata nell'articolo che ho incollato fosse chiara e oggettiva tanto per mettere un po di paletti almeno sui tempi del processo di uscita.
Le reazioni in Italia sono disgustose
Non penso che questo sia il mio paese, aveva ragione Berlusconi: qua è pieno di coglioni
Non penso che questo sia il mio paese, aveva ragione Berlusconi: qua è pieno di coglioni
com'è che, grosso modo, i vecchi hanno votato leave ed i giovani remain??
perché?
perché?
Perché i giovani assorbono la propaganda da social, la vita fancazzista da Erasmus, mentre i vecchi vivono realmente i disagi
Che poi in Italia i giovani votano M5s e i vecchi PD ma nessuno lo dice
Che poi in Italia i giovani votano M5s e i vecchi PD ma nessuno lo dice
BREXIT
L’antieuropeismo non è contro l’Europa
Giovedì 23 giugno 2016 ore 18:40
Lo abbiamo chiesto a Heather Grabbe, direttrice dell’Istituto per la Politica Europea all’Open Society Foundations e dal 2004 al 2009 consigliere del commissario europeo all’allargamento Olli Rehn per i Balcani e la Turchia.
Da dove arriva l’antieuropeismo britannico?
L’antieuropeismo britannico arriva da molto lontano. Il primo motivo per il quale oggi stiamo votando sulla Brexit è un’antica spaccatura all’interno del partito conservatore, che negli ultimi quarant’anni non ha mai risolto le su divisioni sull’Europa. Da una parte i nazionalisti, dall’altra i sostenitori dell’apertura del Paese e della globalizzazione. David Cameron, il primo ministro britannico, decise di convocare il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea proprio nella speranza di risolvere una volta per tutte questi contrasti interni al suo partito. Ma non dobbiamo dimenticare che anche una parte dei media, soprattutto i tabloid, ha sempre criticato l’Europa e ha sempre alimentato l’euroscetticismo. Si tratta di una scelta dei proprietari di alcuni giornali. Il caso più emblematico è forse quello di Rupert Murdoch, che si era schierato contro l’integrazione europea già negli anni novanta se non negli anni ottanta. Murdoch ha proposto più volte che la Gran Bretagna uscisse dall’Unione Europea. E il suo caso non è isolato. Diversi media hanno scritto cose negative sull’Europa e hanno anche detto delle bugie. Hanno parlato per esempio di proposte per un esercito europeo, che non è mai stato proposto. Per questo motivo Cameron si è trovato in una situazione molto delicata. Si è dichiarato a favore dell’Europa nonostante le divisioni del suo partito e nonostante la campagna di alcuni mezzi d’informazione che attribuiscono a Bruxelles la responsabilità per i molti problemi del nostro Paese. Ma le cose non stanno così.
Ma per quale motivo l’antieuropeismo è così radicato nella società britannica?
Ci sono diversi motivi, e nella maggior parte dei casi non hanno nulla a che vedere con l’Unione Europea. Molte volte il dibattito di questi mesi sulla Brexit, soprattutto in Inghilterra, non è stato sull’Europa, è stato sull’immigrazione oppure sulla fine della Gran Bretagna come grande potenza mondiale, come aveva indicato Winston Churchill. C’è ancora un forte sentimento di nostalgia per quello che fu l’impero britannico. Come hanno confermato alcune ricerche universitarie i britannici si occupano poco d’Europa, conoscono poco l’Europa, e non si sentono particolarmente legati all’Europa.
Con l’arrivo dello UKIP, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, pochi anni fa, si è però messo in moto un meccanismo importante. Lo UKIP ha creato un collegamento tra l’Europa e l’immigrazione. Gli inglesi si occupano poco di Europa, ma sono molto preoccupati per l’immigrazione. Quindi la crisi migratoria dei mesi scorsi ha avuto un impatto decisivo sul dibattito politico e lo avrà sul risultato di questo referendum.
Quanto è importante in questa vicenda l’identità nazionale britannica o inglese? Galles, Scozia e Irlanda del Nord hanno un’identità nazionale piuttosto definita, nel caso nord-irlandese addirittura una doppia identità nazionale, ma l’Inghilterra no, ecco quanto è importante sentirsi britannico o inglese in contrapposizione al sentirsi europeo?
Qui la questione centrale è la mancanza di un’identità nazionale inglese. Gli scozzesi hanno già fatto un referendum e sono a favore dell’Europa. E anche gallesi e nord-irlandesi sono europeisti, perché pensano che le nazioni più piccole siano più tutelate in un’Europa integrata. Questo non vale però per gli inglesi, che sono più grandi e più ricchi e hanno già un grosso peso in Europa. Ma gli inglesi non hanno un forte senso d’identità nazionale, anzi hanno quasi una crisi d’identità. Se a questo elemento si aggiungono la crisi economica e la crisi migratoria di questi ultimi anni si crea un quadro nel quale gli inglesi si sentono più deboli, più piccoli, meno importanti. E la responsabile di questa situazione, dice chi sostiene la Brexit, diventa l’Europa.
Lei ha lavorato molto all’interno delle istituzioni europee. Secondo lei l’Unione o gli altri governi europei hanno fatto delle mosse che possono aver allontanato la Gran Bretagna da Bruxelles?
Il problema non sono i rapporti tra Londra e gli altri paesi europei. Il problema sta nei rapporti conflittuali tra Londra e il resto della Gran Bretagna. Il dibattito è all’interno della classe politica britannica e all’interno del partito conservatore. David Cameron ha provato a fare un accordo con gli altri paesi europei per poter dire “abbiamo un negoziato, abbiamo un patto per migliorare le nostre condizioni all’interno dell’Unione Europea”. Ma alla gente non interessa. Questo presunto accordo non influirà il risultato finale del referendum. E secondo me si tratta dell’ennesima dimostrazione che gli eventi europei non sono quelli che contano. I problemi sono l’identità, la globalizzazione, la lontananza della classe politica. Sono questioni interne che purtroppo ora mettono a rischio tutta l’Europa.
(edited)
L’antieuropeismo non è contro l’Europa
Giovedì 23 giugno 2016 ore 18:40
Lo abbiamo chiesto a Heather Grabbe, direttrice dell’Istituto per la Politica Europea all’Open Society Foundations e dal 2004 al 2009 consigliere del commissario europeo all’allargamento Olli Rehn per i Balcani e la Turchia.
Da dove arriva l’antieuropeismo britannico?
L’antieuropeismo britannico arriva da molto lontano. Il primo motivo per il quale oggi stiamo votando sulla Brexit è un’antica spaccatura all’interno del partito conservatore, che negli ultimi quarant’anni non ha mai risolto le su divisioni sull’Europa. Da una parte i nazionalisti, dall’altra i sostenitori dell’apertura del Paese e della globalizzazione. David Cameron, il primo ministro britannico, decise di convocare il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea proprio nella speranza di risolvere una volta per tutte questi contrasti interni al suo partito. Ma non dobbiamo dimenticare che anche una parte dei media, soprattutto i tabloid, ha sempre criticato l’Europa e ha sempre alimentato l’euroscetticismo. Si tratta di una scelta dei proprietari di alcuni giornali. Il caso più emblematico è forse quello di Rupert Murdoch, che si era schierato contro l’integrazione europea già negli anni novanta se non negli anni ottanta. Murdoch ha proposto più volte che la Gran Bretagna uscisse dall’Unione Europea. E il suo caso non è isolato. Diversi media hanno scritto cose negative sull’Europa e hanno anche detto delle bugie. Hanno parlato per esempio di proposte per un esercito europeo, che non è mai stato proposto. Per questo motivo Cameron si è trovato in una situazione molto delicata. Si è dichiarato a favore dell’Europa nonostante le divisioni del suo partito e nonostante la campagna di alcuni mezzi d’informazione che attribuiscono a Bruxelles la responsabilità per i molti problemi del nostro Paese. Ma le cose non stanno così.
Ma per quale motivo l’antieuropeismo è così radicato nella società britannica?
Ci sono diversi motivi, e nella maggior parte dei casi non hanno nulla a che vedere con l’Unione Europea. Molte volte il dibattito di questi mesi sulla Brexit, soprattutto in Inghilterra, non è stato sull’Europa, è stato sull’immigrazione oppure sulla fine della Gran Bretagna come grande potenza mondiale, come aveva indicato Winston Churchill. C’è ancora un forte sentimento di nostalgia per quello che fu l’impero britannico. Come hanno confermato alcune ricerche universitarie i britannici si occupano poco d’Europa, conoscono poco l’Europa, e non si sentono particolarmente legati all’Europa.
Con l’arrivo dello UKIP, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, pochi anni fa, si è però messo in moto un meccanismo importante. Lo UKIP ha creato un collegamento tra l’Europa e l’immigrazione. Gli inglesi si occupano poco di Europa, ma sono molto preoccupati per l’immigrazione. Quindi la crisi migratoria dei mesi scorsi ha avuto un impatto decisivo sul dibattito politico e lo avrà sul risultato di questo referendum.
Quanto è importante in questa vicenda l’identità nazionale britannica o inglese? Galles, Scozia e Irlanda del Nord hanno un’identità nazionale piuttosto definita, nel caso nord-irlandese addirittura una doppia identità nazionale, ma l’Inghilterra no, ecco quanto è importante sentirsi britannico o inglese in contrapposizione al sentirsi europeo?
Qui la questione centrale è la mancanza di un’identità nazionale inglese. Gli scozzesi hanno già fatto un referendum e sono a favore dell’Europa. E anche gallesi e nord-irlandesi sono europeisti, perché pensano che le nazioni più piccole siano più tutelate in un’Europa integrata. Questo non vale però per gli inglesi, che sono più grandi e più ricchi e hanno già un grosso peso in Europa. Ma gli inglesi non hanno un forte senso d’identità nazionale, anzi hanno quasi una crisi d’identità. Se a questo elemento si aggiungono la crisi economica e la crisi migratoria di questi ultimi anni si crea un quadro nel quale gli inglesi si sentono più deboli, più piccoli, meno importanti. E la responsabile di questa situazione, dice chi sostiene la Brexit, diventa l’Europa.
Lei ha lavorato molto all’interno delle istituzioni europee. Secondo lei l’Unione o gli altri governi europei hanno fatto delle mosse che possono aver allontanato la Gran Bretagna da Bruxelles?
Il problema non sono i rapporti tra Londra e gli altri paesi europei. Il problema sta nei rapporti conflittuali tra Londra e il resto della Gran Bretagna. Il dibattito è all’interno della classe politica britannica e all’interno del partito conservatore. David Cameron ha provato a fare un accordo con gli altri paesi europei per poter dire “abbiamo un negoziato, abbiamo un patto per migliorare le nostre condizioni all’interno dell’Unione Europea”. Ma alla gente non interessa. Questo presunto accordo non influirà il risultato finale del referendum. E secondo me si tratta dell’ennesima dimostrazione che gli eventi europei non sono quelli che contano. I problemi sono l’identità, la globalizzazione, la lontananza della classe politica. Sono questioni interne che purtroppo ora mettono a rischio tutta l’Europa.
(edited)
BREXIT
La rivolta della working class
Giovedì 23 giugno 2016 ore 06:02
Le fasce sociali più povere e svantaggiate potrebbero decidere l’esito del referendum di oggi sulla Brexit. I sondaggi di queste settimane hanno confermato come il sentimento antieuropeo sia più forte in quelle città e in quelle regioni dove gli effetti della crisi economica sono stati più profondi. In quelle zone della Gran Bretagna, in questi anni, ha raccolto la maggior parte dei suoi voti lo UKIP, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage. I media britannici hanno descritto la working class, la classe operaia, come razzista e anti-immigrati, ma la questione è molto più complessa. Per fare chiarezza abbiamo chiesto aiuto a Lisa McKenzie, ricercatrice alla London School of Economics. Lisa McKenzie si occupa di povertà e di zone socialmente ed economicamente svantaggiate.
Perché la classe operaia britannica è contro l’Unione Europea? Cosa c’è dietro a questo sentimento antieuropeo?
Non direi che la classe operaia britannica è anti-europea. Direi che la classe operaia britannica, come quella di molti altri paesi europei, è sempre più povera. Il suo tenore di vita è in continuo calo. Una situazione peggiorata ulteriormente con la crisi finanziaria del 2007/2008. I governi hanno salvato le banche, hanno protetto le élite finanziarie, hanno imposto l’austerità alle famiglie che erano già in difficoltà. Quello che sta succedendo adesso in Gran Bretagna, e che potrebbe succedere in altri paesi, non è una rivolta contro l’Europa, è una rivolta contro il neoliberismo e contro l’austerità.
Quindi la gente è contro i politici, britannici ed europei, in quanto rappresentanti di un modello di politica economica ben preciso, giusto?
Esatto. La classe operaia sta usando il referendum come un’opportunità. Per dire: guardate che non vogliamo più che le cose vadano avanti così, vogliamo che le cose cambino. Nel referendum, ovviamente, ci sono solo due opzione. Dentro o fuori.
Il referendum non affronta i tanti problemi dei meno fortunati: la povertà, i tagli alla spesa pubblica, la privatizzazione della sanità. Ma nelle zone più degradate del paese si sta parlando di questo. Il referendum europeo viene associato a questi problemi.
Che cambiamenti vorrebbe la classe operaia?
I governi britannici, soprattutto quelli conservatori, hanno sempre dato la colpa all’Europa per le tante cose che non andavano bene nel nostro paese. Un comportamento che io non condivido. La colpa non è dell’Europa. La colpa è di politiche neoliberiste, che hanno contraddistinto quegli stessi governi che accusavano l’Europa. Ripeto, la gente non è contro l’Europa, la gente vuole solo una vita stabile.
Un lavoro, i soldi per pagare le bollette, la possibilità di andare in vacanza…
È corretto dire che le fasce sociali più deboli hanno paura?
Certo. Quando non ci sono più certezze, quando ci sono sempre meno soldi, quando non si sa cosa succederà domani, quando si perde il lavoro, la paura ha il sopravvento. La gente è spaventata, è terrorizzata.
Un termine che non è stato usato correttamente dai media, immigrazione. I poveri sono stati definiti spesso razzisti e anti-immigrati…
L’immigrazione è una questione importante, certo, non lo possiamo negare. Ma proprio perché le classi sociali più svantaggiate si sentono minacciate. Se andate in un quartiere povero di una città inglese e chiedete per quale motivo voteranno per la Brexit, vi risponderanno per l’immigrazione. Se vi fermate lì potete concludere che sono razzisti e anti-immigrati. Ma se andate avanti e chiedete cosa direbbero dei lavoratori stranieri nel caso in cui avessero un lavoro stabile, vi risponderanno che non avrebbero alcun problema. Qui la questione è la mancanza di risorse, che sono state tolte anno dopo anno a chi già aveva poco. I politici hanno usato l’immigrazione per giustificare le paure della classe operaia. Ma pensate cosa succederebbe se la gente dovesse accusare il governo, i politici non avrebbero più un lavoro.
Gli stessi politici che oggi dicono che l’immigrazione è una cosa buona, per quarant’anni hanno detto che l’immigrazione è la principale causa della povertà.
Da qui il dibattito molto duro di queste settimane.
(edited)
La rivolta della working class
Giovedì 23 giugno 2016 ore 06:02
Le fasce sociali più povere e svantaggiate potrebbero decidere l’esito del referendum di oggi sulla Brexit. I sondaggi di queste settimane hanno confermato come il sentimento antieuropeo sia più forte in quelle città e in quelle regioni dove gli effetti della crisi economica sono stati più profondi. In quelle zone della Gran Bretagna, in questi anni, ha raccolto la maggior parte dei suoi voti lo UKIP, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage. I media britannici hanno descritto la working class, la classe operaia, come razzista e anti-immigrati, ma la questione è molto più complessa. Per fare chiarezza abbiamo chiesto aiuto a Lisa McKenzie, ricercatrice alla London School of Economics. Lisa McKenzie si occupa di povertà e di zone socialmente ed economicamente svantaggiate.
Perché la classe operaia britannica è contro l’Unione Europea? Cosa c’è dietro a questo sentimento antieuropeo?
Non direi che la classe operaia britannica è anti-europea. Direi che la classe operaia britannica, come quella di molti altri paesi europei, è sempre più povera. Il suo tenore di vita è in continuo calo. Una situazione peggiorata ulteriormente con la crisi finanziaria del 2007/2008. I governi hanno salvato le banche, hanno protetto le élite finanziarie, hanno imposto l’austerità alle famiglie che erano già in difficoltà. Quello che sta succedendo adesso in Gran Bretagna, e che potrebbe succedere in altri paesi, non è una rivolta contro l’Europa, è una rivolta contro il neoliberismo e contro l’austerità.
Quindi la gente è contro i politici, britannici ed europei, in quanto rappresentanti di un modello di politica economica ben preciso, giusto?
Esatto. La classe operaia sta usando il referendum come un’opportunità. Per dire: guardate che non vogliamo più che le cose vadano avanti così, vogliamo che le cose cambino. Nel referendum, ovviamente, ci sono solo due opzione. Dentro o fuori.
Il referendum non affronta i tanti problemi dei meno fortunati: la povertà, i tagli alla spesa pubblica, la privatizzazione della sanità. Ma nelle zone più degradate del paese si sta parlando di questo. Il referendum europeo viene associato a questi problemi.
Che cambiamenti vorrebbe la classe operaia?
I governi britannici, soprattutto quelli conservatori, hanno sempre dato la colpa all’Europa per le tante cose che non andavano bene nel nostro paese. Un comportamento che io non condivido. La colpa non è dell’Europa. La colpa è di politiche neoliberiste, che hanno contraddistinto quegli stessi governi che accusavano l’Europa. Ripeto, la gente non è contro l’Europa, la gente vuole solo una vita stabile.
Un lavoro, i soldi per pagare le bollette, la possibilità di andare in vacanza…
È corretto dire che le fasce sociali più deboli hanno paura?
Certo. Quando non ci sono più certezze, quando ci sono sempre meno soldi, quando non si sa cosa succederà domani, quando si perde il lavoro, la paura ha il sopravvento. La gente è spaventata, è terrorizzata.
Un termine che non è stato usato correttamente dai media, immigrazione. I poveri sono stati definiti spesso razzisti e anti-immigrati…
L’immigrazione è una questione importante, certo, non lo possiamo negare. Ma proprio perché le classi sociali più svantaggiate si sentono minacciate. Se andate in un quartiere povero di una città inglese e chiedete per quale motivo voteranno per la Brexit, vi risponderanno per l’immigrazione. Se vi fermate lì potete concludere che sono razzisti e anti-immigrati. Ma se andate avanti e chiedete cosa direbbero dei lavoratori stranieri nel caso in cui avessero un lavoro stabile, vi risponderanno che non avrebbero alcun problema. Qui la questione è la mancanza di risorse, che sono state tolte anno dopo anno a chi già aveva poco. I politici hanno usato l’immigrazione per giustificare le paure della classe operaia. Ma pensate cosa succederebbe se la gente dovesse accusare il governo, i politici non avrebbero più un lavoro.
Gli stessi politici che oggi dicono che l’immigrazione è una cosa buona, per quarant’anni hanno detto che l’immigrazione è la principale causa della povertà.
Da qui il dibattito molto duro di queste settimane.
(edited)
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