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Subject: "Giornalismo", il meglio di...
Giusto quello che ho postato in politica.
Ce ne sarebbero altri fatti da giornalisti stranieri che mettono alla berlina il mainstream straniero
Ce ne sarebbero altri fatti da giornalisti stranieri che mettono alla berlina il mainstream straniero
OMG, Mr. Giornalismo proprio... terribile.
Riotta dà lezioni di coerenza a Spinelli
Di m.trav.
27 Febbraio 2022
Gianni Riotta twitta, nel consueto italiano malfermo: “Ricordo @LaStampa durante la guerra in Jugoslavia una Barbara Spinelli così ferocemente filo Nato e Occidente da firmare appelli in stile Henry Levy e Glucksmann sui nostri valori. Adesso scrive sul Fatto e diventa anti Usa e Occidente. Peccato! Suo padre non sarebbe d’accordo”. Già il fatto che un ex del manifesto passato alla corte dello Zio Sam, dello zio Agnelli e dei nipoti Elkann dia lezioni di coerenza a una delle menti più lucide e delle penne più libere del giornalismo fa sorridere. Così come il fatto che, senza contestare una sola riga di quanto scritto da Barbara Spinelli, si erga a interprete autentico del pensiero postumo di Altiero Spinelli, purtroppo scomparso e dunque impossibilitato a sbeffeggiarlo. Il fatto invece che il poveretto non si sia accorto che Barbara Spinelli, nell’articolo dell’altroieri, faceva autocritica sulla guerra nell’ex Jugoslavia non deve stupire. Era universalmente noto che Riotta, celebre distruttore di giornali e telegiornali, non sa scrivere. Ora scopriamo che non sa neppure leggere.
Riotta dà lezioni di coerenza a Spinelli
Di m.trav.
27 Febbraio 2022
Gianni Riotta twitta, nel consueto italiano malfermo: “Ricordo @LaStampa durante la guerra in Jugoslavia una Barbara Spinelli così ferocemente filo Nato e Occidente da firmare appelli in stile Henry Levy e Glucksmann sui nostri valori. Adesso scrive sul Fatto e diventa anti Usa e Occidente. Peccato! Suo padre non sarebbe d’accordo”. Già il fatto che un ex del manifesto passato alla corte dello Zio Sam, dello zio Agnelli e dei nipoti Elkann dia lezioni di coerenza a una delle menti più lucide e delle penne più libere del giornalismo fa sorridere. Così come il fatto che, senza contestare una sola riga di quanto scritto da Barbara Spinelli, si erga a interprete autentico del pensiero postumo di Altiero Spinelli, purtroppo scomparso e dunque impossibilitato a sbeffeggiarlo. Il fatto invece che il poveretto non si sia accorto che Barbara Spinelli, nell’articolo dell’altroieri, faceva autocritica sulla guerra nell’ex Jugoslavia non deve stupire. Era universalmente noto che Riotta, celebre distruttore di giornali e telegiornali, non sa scrivere. Ora scopriamo che non sa neppure leggere.
Riotta esiste come giornalista solo a causa della sua capacità di vendersi al padrone americano.
Uno dei più evidenti esempi del perchè non crediamo più ai media tradizionali.
In ogni caso, l'articolo di Riotta è da leggere perchè mette per iscritto che non vanno analizzate le cose in modo razionale: noi abbiamo un'appartenenza che non va messa in discussione!
Chiunque non si allinei alla narrazione è nemico: l'hanno detto gli americani!
se ci fosse dignità ci sarebbe da vergnognarsi.
Uno dei più evidenti esempi del perchè non crediamo più ai media tradizionali.
In ogni caso, l'articolo di Riotta è da leggere perchè mette per iscritto che non vanno analizzate le cose in modo razionale: noi abbiamo un'appartenenza che non va messa in discussione!
Chiunque non si allinei alla narrazione è nemico: l'hanno detto gli americani!
se ci fosse dignità ci sarebbe da vergnognarsi.
Il cortigiano Johnny
4 Marzo 2022
Sgominati il direttore d’orchestra e la soprano russi alla Scala, respinto l’assalto della Brigata Dostoevskij all’Università Bicocca, attendevamo con ansia che qualcuno bombardasse l’hotel de Russie di Roma e la fermata Moscova della metro milanese, o boicottasse la griffe Moschino, o prendesse sul serio chi sul web propone di ribattezzare Ignazio La Russa “L’Ucraina” (Maurizio Mosca l’ha scampata bella, defungendo per tempo). Poi è giunto l’annuncio della Federazione Internazionale Felina che, “in segno di vicinanza verso gli ucraini”, ha deciso di “non registrare più gatti provenienti dalla Russia e mettere uno stop alla partecipazione degli allevatori russi alle esposizioni internazionali”. E abbiamo pensato che nessuno ne avrebbe più battuto il record di stupidità. Ma avevamo sottovalutato Johnny Riotta, che c’è riuscito in scioltezza su Repubblica con la lista di proscrizione “Destra, sinistra e no Green pass: identikit dei putiniani d’Italia. Da Savoini a Fusaro, da Barbara Spinelli a Mattei, Foa e Mutti, editore del fascio-putinista Dugin”. Un frittomisto scombiccherato e imbarazzante (non per lui, che non conosce vergogna e non ha mai la più pallida idea di ciò che dice, tipo quando negava in tv che l’articolo 1 della Costituzione affermi che la sovranità appartiene al popolo, ma per gli eventuali lettori). Piluccando da uno studio della Columbia University, forse per dimostrare la bruciante attualità de L’Idiota di Dostoevskij, il cortigiano Johnny frulla personaggi, storie, tesi diversi e spesso opposti, accomunando il leghista che chiedeva tangenti all’hotel Metropol di Mosca a chi osa obiettare al fumetto dell’Occidente buono, democratico e pacifista minacciato dal Nuovo Satana. Una barzelletta che farebbe scompisciare pure Kissinger, i migliori diplomatici Usa e il capo della Cia Burns, tutti molto critici sull’allargamento della Nato a Est.
Ma curiosamente Riotta, nella lista dei nemici pubblici, si scorda quei fottuti putinisti di Kissinger e Burns. E omette la Luiss, citata dalla Columbia fra gli amici della Russia, forse perché lui vi dirige una scuola di giornalismo (per mancanza di prove). In compenso ci infila la Spinelli, che scriveva su Rep quando era ancora un giornale e non il pannolone di Biden. E pure l’ex presidente Rai Marcello Foa, “commentatore di reti di propaganda russa”: cioè di Russia Today, che fino a sei anni fa usciva come inserto mensile di Rep. Il finale è un’istigazione ai rastrellamenti che piacerebbe un sacco a Putin e sarebbe un tantino inquietante, se Riotta lo leggesse e lo prendesse sul serio qualcuno: “Li riconoscete a prima vista: tutti hanno la stessa caratteristica”. Quella di pensare con la propria testa, ma soprattutto di averne una.
4 Marzo 2022
Sgominati il direttore d’orchestra e la soprano russi alla Scala, respinto l’assalto della Brigata Dostoevskij all’Università Bicocca, attendevamo con ansia che qualcuno bombardasse l’hotel de Russie di Roma e la fermata Moscova della metro milanese, o boicottasse la griffe Moschino, o prendesse sul serio chi sul web propone di ribattezzare Ignazio La Russa “L’Ucraina” (Maurizio Mosca l’ha scampata bella, defungendo per tempo). Poi è giunto l’annuncio della Federazione Internazionale Felina che, “in segno di vicinanza verso gli ucraini”, ha deciso di “non registrare più gatti provenienti dalla Russia e mettere uno stop alla partecipazione degli allevatori russi alle esposizioni internazionali”. E abbiamo pensato che nessuno ne avrebbe più battuto il record di stupidità. Ma avevamo sottovalutato Johnny Riotta, che c’è riuscito in scioltezza su Repubblica con la lista di proscrizione “Destra, sinistra e no Green pass: identikit dei putiniani d’Italia. Da Savoini a Fusaro, da Barbara Spinelli a Mattei, Foa e Mutti, editore del fascio-putinista Dugin”. Un frittomisto scombiccherato e imbarazzante (non per lui, che non conosce vergogna e non ha mai la più pallida idea di ciò che dice, tipo quando negava in tv che l’articolo 1 della Costituzione affermi che la sovranità appartiene al popolo, ma per gli eventuali lettori). Piluccando da uno studio della Columbia University, forse per dimostrare la bruciante attualità de L’Idiota di Dostoevskij, il cortigiano Johnny frulla personaggi, storie, tesi diversi e spesso opposti, accomunando il leghista che chiedeva tangenti all’hotel Metropol di Mosca a chi osa obiettare al fumetto dell’Occidente buono, democratico e pacifista minacciato dal Nuovo Satana. Una barzelletta che farebbe scompisciare pure Kissinger, i migliori diplomatici Usa e il capo della Cia Burns, tutti molto critici sull’allargamento della Nato a Est.
Ma curiosamente Riotta, nella lista dei nemici pubblici, si scorda quei fottuti putinisti di Kissinger e Burns. E omette la Luiss, citata dalla Columbia fra gli amici della Russia, forse perché lui vi dirige una scuola di giornalismo (per mancanza di prove). In compenso ci infila la Spinelli, che scriveva su Rep quando era ancora un giornale e non il pannolone di Biden. E pure l’ex presidente Rai Marcello Foa, “commentatore di reti di propaganda russa”: cioè di Russia Today, che fino a sei anni fa usciva come inserto mensile di Rep. Il finale è un’istigazione ai rastrellamenti che piacerebbe un sacco a Putin e sarebbe un tantino inquietante, se Riotta lo leggesse e lo prendesse sul serio qualcuno: “Li riconoscete a prima vista: tutti hanno la stessa caratteristica”. Quella di pensare con la propria testa, ma soprattutto di averne una.
https://www.rainews.it/articoli/2022/03/ucraina-troupe-di-sky-news-filma-mentre--bersagliata-dai-proiettili-2fe50c73-cff3-4bb0-8cee-3e05461ce441.html
Da nessuna parte è scritto ciò che invece viene detto nel video in inglese, cioè che molto probabilmente gli spari arrivavano da un "Ukranian checkpoint".
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Da nessuna parte è scritto ciò che invece viene detto nel video in inglese, cioè che molto probabilmente gli spari arrivavano da un "Ukranian checkpoint".
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Toni Capuozzo
6cpfl51oc cah2raeacgm ·
ELOGIO DELLA RESA ?
E’ domenica, nevica, e avrei voluto raccontarvi di questi giorni in Bosnia, a girare tra quel che resta di una guerra lontana. E invece mi torna in mente di quando ero un giovane inviato nelle rivoluzioni dell’America Latina, e non riuscivo a non sorprendermi della crudezza di una parola d’ordine diffusa: “Patria o muerte”. Veniva da un discorso di Fidel Castro nel 1960, ma assomigliava alle storie risorgimentali che mi avevano insegnato a scuola, a un’ idea del sacrificio che mi pareva marmorea, retorica, e fuori dal mio tempo (Non avresti combattuto il nazifascismo ? Credo di sì, ma non è il mio tempo…). Mi è successo tante altre volte di chiedermi se avessero ragione quelli che si apprestavano, o almeno si dichiaravano pronti a morire per qualcosa, da Sarajevo a Gerusalemme, da Kabul a Mogadiscio, dalla Libia alla Siria. Sono uno che prova paura, ed evitavo di chiedermi se la mia distanza fosse viltà, o miseria di valori. Mi dicevo che morirei per salvare i miei figli, e la domanda successiva riapriva il problema: dove arriverei per difendere i figli degli altri ? So come me la cavavo: non morirei, ma neanche ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine, non c’è nulla che valga la vita di un altro. Questa mia confusione ritorna, in questi giorni. Voglio confessarla semplicemente, come un pensiero banale. Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime. E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no flight zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro. In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo ? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui. No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.
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ELOGIO DELLA RESA ?
E’ domenica, nevica, e avrei voluto raccontarvi di questi giorni in Bosnia, a girare tra quel che resta di una guerra lontana. E invece mi torna in mente di quando ero un giovane inviato nelle rivoluzioni dell’America Latina, e non riuscivo a non sorprendermi della crudezza di una parola d’ordine diffusa: “Patria o muerte”. Veniva da un discorso di Fidel Castro nel 1960, ma assomigliava alle storie risorgimentali che mi avevano insegnato a scuola, a un’ idea del sacrificio che mi pareva marmorea, retorica, e fuori dal mio tempo (Non avresti combattuto il nazifascismo ? Credo di sì, ma non è il mio tempo…). Mi è successo tante altre volte di chiedermi se avessero ragione quelli che si apprestavano, o almeno si dichiaravano pronti a morire per qualcosa, da Sarajevo a Gerusalemme, da Kabul a Mogadiscio, dalla Libia alla Siria. Sono uno che prova paura, ed evitavo di chiedermi se la mia distanza fosse viltà, o miseria di valori. Mi dicevo che morirei per salvare i miei figli, e la domanda successiva riapriva il problema: dove arriverei per difendere i figli degli altri ? So come me la cavavo: non morirei, ma neanche ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine, non c’è nulla che valga la vita di un altro. Questa mia confusione ritorna, in questi giorni. Voglio confessarla semplicemente, come un pensiero banale. Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime. E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no flight zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro. In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo ? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui. No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.
il checkpoint era ucraino ma molto probabilmente era stato abbandonato e preso dai russi. Lo spiega molto bene Locatelli in un video di ieri pomeriggio. Hanno usato anche dei proiettili traccianti, quindi di sicuro era un commando che stava preparando un'imboscata. Al check precedente sono stati degli ucraini a suggerire di percorrere quella strada. Peccato però che poi quel successivo checkpoint fosse andato perso, Probabilmente l'imboscata era per militari ucraini e non certo per 4 giornalisti...
in particolare mi disturba la beatificazione di Zelensky che sta facendo "l'eroe" al costo di danni immensi al suo stesso popolo.
Questo modello del leader eroe va bene per i libri romantici, ma nella realtà la gente muore per davvero.
Questo modello del leader eroe va bene per i libri romantici, ma nella realtà la gente muore per davvero.
È uno scritto bello e che fa riflettere... e coglie benissimo la nostra ipocrisia; però non considera, credo, a sufficienza la storia, il momento, le circostanze... anche quella di ridurre gli ucraini, il sentire degli ucraini, alla "ragionevolezza", alla nostra "ragionevolezza", quella di chi coinvolto in fondo non è perché non è la terra sua, la strada sua, la casa sua... anche quella resa è una resa "col sedere degli altri".
Ed è vero che "piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda"... e che vengono i brividi a pensare cosa questo può comportare e a quello che già ha comportato (penso alle radicalizzazioni religiose che ne sono un altro aspetto) ... però, anche qui, il fatto che accada qualcosa che non ci piace non significa che non ci siano delle ragioni per cui è accaduto; e una parte di quelle ragioni sono errori che noi abbiamo fatto
Ed è vero che "piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda"... e che vengono i brividi a pensare cosa questo può comportare e a quello che già ha comportato (penso alle radicalizzazioni religiose che ne sono un altro aspetto) ... però, anche qui, il fatto che accada qualcosa che non ci piace non significa che non ci siano delle ragioni per cui è accaduto; e una parte di quelle ragioni sono errori che noi abbiamo fatto
Ah beh, quotare quoto anch'io perché le cose scritte sono serie