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Subject: Calcio: storia e aneddoti
davids e deshamps
ma in quel ruolo chi ha avuto un impatto devastante (decisivo nello scudetto di capello) è stato desailly
ma in quel ruolo chi ha avuto un impatto devastante (decisivo nello scudetto di capello) è stato desailly
mi ricordo un juve-milan (0-1 gol di boban), ero allo stadio...tutti lo fischiavano ma era semplicemente impressionante.
Grande Paphio, memoria storica. Si, Desailly al posto di un mid offensivo ci stava bene in quel top team
«Mi ero appena rotto il tendine d’Achille. Uno stop improvviso, una corsa terminata al minuto 76 di Italia-Belgio. Si è avvicinato il mio compagno Cristante, il mio amico Bryan. “Spina, che hai?”
“Si è staccato il tendine”.
Ne ero sicuro. Sentivo il tallone che toccava terra, eppure non era appoggiato. Ho abbracciato Cristante, che mi ha aiutato a coricarmi sul terreno di gioco. Gli parlavo, ma più che altro il discorso aveva me come unico interlocutore. Una chiacchierata triste e solitaria. Ripetevo in continuazione la stessa frase, come un disco che, in effetti, si era appena rotto.
“Ma perché proprio a me?”
“Ma perché proprio adesso?”
Stavo giocando un grande Europeo e vivendo il momento di gran lunga più bello della mia carriera.
La prima anestesia me la sono autosomministrata, nel senso che a stomaco vuoto ho buttato giù due birre. Una dietro l’altra, quasi senza prendere fiato.
A fine partita i miei compagni sono tornati nello spogliatoio.
Non esultava nessuno, uno più triste dell’altro. Entravano e venivano direttamente da me, che avevo gli occhi sempre più gonfi. Chi mi dava un abbraccio, chi una carezza.
Daniele De Rossi mi ha invece passato un’altra birra. Oltre a essere un mito di eterna grandezza, è anche una persona molto pratica…».
Leonardo Spinazzola - dal libro “Buongiorno campioni”
“Si è staccato il tendine”.
Ne ero sicuro. Sentivo il tallone che toccava terra, eppure non era appoggiato. Ho abbracciato Cristante, che mi ha aiutato a coricarmi sul terreno di gioco. Gli parlavo, ma più che altro il discorso aveva me come unico interlocutore. Una chiacchierata triste e solitaria. Ripetevo in continuazione la stessa frase, come un disco che, in effetti, si era appena rotto.
“Ma perché proprio a me?”
“Ma perché proprio adesso?”
Stavo giocando un grande Europeo e vivendo il momento di gran lunga più bello della mia carriera.
La prima anestesia me la sono autosomministrata, nel senso che a stomaco vuoto ho buttato giù due birre. Una dietro l’altra, quasi senza prendere fiato.
A fine partita i miei compagni sono tornati nello spogliatoio.
Non esultava nessuno, uno più triste dell’altro. Entravano e venivano direttamente da me, che avevo gli occhi sempre più gonfi. Chi mi dava un abbraccio, chi una carezza.
Daniele De Rossi mi ha invece passato un’altra birra. Oltre a essere un mito di eterna grandezza, è anche una persona molto pratica…».
Leonardo Spinazzola - dal libro “Buongiorno campioni”
Ah già, Desailly
Un bulldozer. Ricordo che proprio nella seconda metà degli anni '90 provammo a cercare il sostituto. Vendendo Vieira e tenendo Ngotty.
Un bulldozer. Ricordo che proprio nella seconda metà degli anni '90 provammo a cercare il sostituto. Vendendo Vieira e tenendo Ngotty.
Dovrebbe essere Lukaku
OT
Interessanti le sue foto a 13 anni oppure il paragone tra Lukaku e Neymar a 17 anni
Altro che Minala...
ROTFL
OT
Interessanti le sue foto a 13 anni oppure il paragone tra Lukaku e Neymar a 17 anni
Altro che Minala...
ROTFL
#Frattesi e #Scamacca nell' U13 della #Lazio dopo un derby vinto 7-2.
Chissà Claudione come si sta mangiando le mani
poi son passati anche nelle giovanili della roma :-(
Ma è sui Mondiali in Inghilterra del 1966, passati alla storia nel nostro Paese per la sconfitta per 1-0 contro la Corea del Nord e la conseguente eliminazione, che Mazzola lascia spazio ai suoi dubbi, lanciando accuse pesanti alla Figc. Era il 19 luglio, una data che passò alla storia come la pagina più nera della storia della Nazionale italiana di calcio. «Mamma mia, una tragedia. Ma la verità è che quel fallimento è sospetto –. Quando tornammo in Italia dopo l'eliminazione – è il ricordo dell’ex centrocampista –, non avevo voglia di fare niente. Né uscire con mia moglie, né di fare l'amore, mi sentivo sempre stanco. Finché un giorno il ct Edmondo Fabbri mi chiese di fare degli esami». Mazzola torna a quella tormentata estate: «In quei giorni tutti quelli che lo incontravano per strada volevano picchiarlo, l’atmosfera era insopportabile». Evidentemente l’«homo novus» del calcio italiano, il tecnico che in cinque stagioni ha portato il Mantova dalla serie D alla A, non a tutti piaceva. Almeno a sentire oggi Mazzola.
A peggiorare la situazione, si diffuse anche le leggende metropolitana che a fare il gol coreano fosse stato un dentista. Non era vero, Pak Doo-ik era un calciatore vero, ma si seppe solo diversi anni più tardi. «Dopo i test – continua l’ex azzurro nell’intervista ad Antonio Moschella – scoprimmo di essere stati drogati da qualcuno della Federazione che voleva disfarsi dell’allenatore. Nelle mie urine trovarono ansiolitici», rivela, per poi aggiungere: «Più tardi parlai con alcuni miei compagni di quel Mondiale e ci incontrammo tutti con Fabbri. Avevamo tutti gli stessi sintomi e ci accorgemmo così di di essere stati vittime di un complotto ordito da alcuni dirigenti che volevano fare una rivoluzione. Insieme decidemmo di affrontare la questione, ma finì in un nulla di fatto, perché in Italia Fabbri aveva una brutta reputazione e lo fecero passare per matto».
A peggiorare la situazione, si diffuse anche le leggende metropolitana che a fare il gol coreano fosse stato un dentista. Non era vero, Pak Doo-ik era un calciatore vero, ma si seppe solo diversi anni più tardi. «Dopo i test – continua l’ex azzurro nell’intervista ad Antonio Moschella – scoprimmo di essere stati drogati da qualcuno della Federazione che voleva disfarsi dell’allenatore. Nelle mie urine trovarono ansiolitici», rivela, per poi aggiungere: «Più tardi parlai con alcuni miei compagni di quel Mondiale e ci incontrammo tutti con Fabbri. Avevamo tutti gli stessi sintomi e ci accorgemmo così di di essere stati vittime di un complotto ordito da alcuni dirigenti che volevano fare una rivoluzione. Insieme decidemmo di affrontare la questione, ma finì in un nulla di fatto, perché in Italia Fabbri aveva una brutta reputazione e lo fecero passare per matto».
Infatti la prima domanda che mi è venuta in mente è: "quanti anni ha Sandro Mazzola?"
Ti ricordi… Tino Asprilla, Colombia andata e ritorno: i rubinetti, gli occhiali da sole e i gol capolavoro. Ora ha un’azienda di preservativi
di Cristiano Vella | 26 Febbraio 2022
Il primo gol è un capolavoro: controllo di destro spalle alla porta, di un metro fuori dall’area, palleggio di coscia, saetta al volo di sinistro che si infila nel sette. Il secondo da attaccante di razza: spaccata a centro area su cross rasoterra e tocco minimo per mandare il pallone nell’angolino. E dire che quel pregevolissimo attaccante oggi si sia dato alla “difesa”. Certo l’hanno fatto in tanti: da Lothar Matthaus a Ruud Gullit, da Giampiero Boniperti a John Charles, quello che Brera chiamava il “passo indietro”. Ma “l’arretramento” di Tino Asprilla non è di quelli ordinari: nella carriera (e nella vita) del “pulpo de Tuluà” c’è ben poco di ordinario.
A partire dal talento: quello messo in mostra in Parma – Lazio del Febbraio 1994 – 95 con una doppietta splendida è tutto fuorché ordinario. L’avevano notato quando era ragazzino, quel talento: quelli del Deportivo de Cucutà e poi ovviamente Pablo Escobar in persona, perché se in Colombia sei forte devi giocare nella sua squadra, l’Atletico Nacional.
Lunghe leve (di qui il soprannome “pulpo”), tanta velocità e tecnica sopraffina fanno sì che Tino venga notato anche in Europa: il Parma è l’unica squadra a fare sul serio e se lo accaparra per 4 miliardi di lire. Nasce da lì la storia di quello che a tutt’oggi è probabilmente il calciatore più amato dalla tifoseria ducale. Una storia che non è solo calcio, un amore grande che non dipende solo dalle prodezze di Tino in campo. Perché Tino è Tino: è uno che appena scende dall’aereo, vai a capire perché, compra 100 rubinetti e li manda in Colombia. E fa lo stesso con degli occhiali da sole: “Ma si vendono anche nei negozi colombiani, gli stessi modelli”, gli fanno notare, con lui che ritiene che quelli dei negozi italiani siano migliori.
Dai rubinetti al campo: un gol capolavoro al Milan, su punizione, che interrompe l’imbattibilità dei rossoneri che durava da 58 partite, festeggiato con la tipica capriola di Asprilla. Capriole che Asprilla mostra di prediligere anche altrove: sposato giovanissimo in Colombia, a Parma si vocifera, tra le tante, di una sua relazione con una pornostar e di “incontri” che sovente avvengono anche a poche ore dalle partite. Il mito di Tino, alimentato anche dalle rivelazioni dei suoi compagni, Buffon su tutti, è anche questo: lo sfrutterà anche in termini imprenditoriali, dopo il calcio. Capace di ribaltare l’Atletico Madrid al Vicente Calderon, con una doppietta in semifinale di Coppa delle Coppe…e poi di ferirsi al piede e star fermo tre settimane, saltando la finale, dopo essere andato a salutare la madre morente in Colombia. Una ferita provocata dai cocci di una bottiglia caduta per terra… dirà Asprilla per mascherare un’altra verità: il piede se lo è tagliato con i vetri della portiera di un autobus, preso a calci perché gli aveva tagliato la strada.
E poi ancora gol, pure con la Colombia: una doppietta a Buenos Aires, nello 0 a 5 rifilato all’Argentina che fa parlare il mondo di quella nazionale ricchissima di talento, da Higuita a Rincon a Valderrama appunto ad Asprilla che qualcuno vede addirittura favorita per il mondiale americano. Non sarà così e Tino ci metterà un po’ a smaltire la delusione e tutto il resto a Parma. Tra alti e bassi, e serate in discoteca in cui guida (pare) truppe di travestiti per tormentare Fernando Couto, vince la Coppa Uefa. Tutti quegli eccessi lo allontanano da Parma: va a Newcastle, al netto di qualche problemino fisico nelle visite mediche (leggasi positività alla cocaina). Coi Magpies non fa granché, ma è capace comunque di ritagliarsi dei record: tipo la tripletta a Barcellona dopo essere arrivato in ritardo biblico (pare) per un incontro dei suoi.
Poi il ritorno a Parma, la difficile convivenza con Malesani e il ritorno in Sud America dove si inventa metodi motivazionali in perfetto stile Tino, tipo sparare con la pistola fuori dal campo d’allenamento per spingere i compagni a correre di più. Oggi? Ha lo zuccherificio dove lavorava il papà come operaio, una fazenda con mucche e tori e…come detto in apertura è passato in difesa. Già, sfruttando la sua immagine per metter su un’azienda di preservativi: usando se stesso come testimonial, ovviamente, come quando nel clou della pandemia Covid in Colombia ha lanciato l’offerta speciale “Perché mica posso usarli tutti io?”. Detto sempre col sorriso: lo stesso che ancora oggi riserva ai tifosi ducali adoranti quando torna a Parma, lo stesso delle dirette social con gli ex compagni, a raccontare più le marachelle che i gol. E marachelle e gol tipo quello di ventotto anni fa alla Lazio fanno pensare: ma quanto era bello il calcio anni ’90?
di Cristiano Vella | 26 Febbraio 2022
Il primo gol è un capolavoro: controllo di destro spalle alla porta, di un metro fuori dall’area, palleggio di coscia, saetta al volo di sinistro che si infila nel sette. Il secondo da attaccante di razza: spaccata a centro area su cross rasoterra e tocco minimo per mandare il pallone nell’angolino. E dire che quel pregevolissimo attaccante oggi si sia dato alla “difesa”. Certo l’hanno fatto in tanti: da Lothar Matthaus a Ruud Gullit, da Giampiero Boniperti a John Charles, quello che Brera chiamava il “passo indietro”. Ma “l’arretramento” di Tino Asprilla non è di quelli ordinari: nella carriera (e nella vita) del “pulpo de Tuluà” c’è ben poco di ordinario.
A partire dal talento: quello messo in mostra in Parma – Lazio del Febbraio 1994 – 95 con una doppietta splendida è tutto fuorché ordinario. L’avevano notato quando era ragazzino, quel talento: quelli del Deportivo de Cucutà e poi ovviamente Pablo Escobar in persona, perché se in Colombia sei forte devi giocare nella sua squadra, l’Atletico Nacional.
Lunghe leve (di qui il soprannome “pulpo”), tanta velocità e tecnica sopraffina fanno sì che Tino venga notato anche in Europa: il Parma è l’unica squadra a fare sul serio e se lo accaparra per 4 miliardi di lire. Nasce da lì la storia di quello che a tutt’oggi è probabilmente il calciatore più amato dalla tifoseria ducale. Una storia che non è solo calcio, un amore grande che non dipende solo dalle prodezze di Tino in campo. Perché Tino è Tino: è uno che appena scende dall’aereo, vai a capire perché, compra 100 rubinetti e li manda in Colombia. E fa lo stesso con degli occhiali da sole: “Ma si vendono anche nei negozi colombiani, gli stessi modelli”, gli fanno notare, con lui che ritiene che quelli dei negozi italiani siano migliori.
Dai rubinetti al campo: un gol capolavoro al Milan, su punizione, che interrompe l’imbattibilità dei rossoneri che durava da 58 partite, festeggiato con la tipica capriola di Asprilla. Capriole che Asprilla mostra di prediligere anche altrove: sposato giovanissimo in Colombia, a Parma si vocifera, tra le tante, di una sua relazione con una pornostar e di “incontri” che sovente avvengono anche a poche ore dalle partite. Il mito di Tino, alimentato anche dalle rivelazioni dei suoi compagni, Buffon su tutti, è anche questo: lo sfrutterà anche in termini imprenditoriali, dopo il calcio. Capace di ribaltare l’Atletico Madrid al Vicente Calderon, con una doppietta in semifinale di Coppa delle Coppe…e poi di ferirsi al piede e star fermo tre settimane, saltando la finale, dopo essere andato a salutare la madre morente in Colombia. Una ferita provocata dai cocci di una bottiglia caduta per terra… dirà Asprilla per mascherare un’altra verità: il piede se lo è tagliato con i vetri della portiera di un autobus, preso a calci perché gli aveva tagliato la strada.
E poi ancora gol, pure con la Colombia: una doppietta a Buenos Aires, nello 0 a 5 rifilato all’Argentina che fa parlare il mondo di quella nazionale ricchissima di talento, da Higuita a Rincon a Valderrama appunto ad Asprilla che qualcuno vede addirittura favorita per il mondiale americano. Non sarà così e Tino ci metterà un po’ a smaltire la delusione e tutto il resto a Parma. Tra alti e bassi, e serate in discoteca in cui guida (pare) truppe di travestiti per tormentare Fernando Couto, vince la Coppa Uefa. Tutti quegli eccessi lo allontanano da Parma: va a Newcastle, al netto di qualche problemino fisico nelle visite mediche (leggasi positività alla cocaina). Coi Magpies non fa granché, ma è capace comunque di ritagliarsi dei record: tipo la tripletta a Barcellona dopo essere arrivato in ritardo biblico (pare) per un incontro dei suoi.
Poi il ritorno a Parma, la difficile convivenza con Malesani e il ritorno in Sud America dove si inventa metodi motivazionali in perfetto stile Tino, tipo sparare con la pistola fuori dal campo d’allenamento per spingere i compagni a correre di più. Oggi? Ha lo zuccherificio dove lavorava il papà come operaio, una fazenda con mucche e tori e…come detto in apertura è passato in difesa. Già, sfruttando la sua immagine per metter su un’azienda di preservativi: usando se stesso come testimonial, ovviamente, come quando nel clou della pandemia Covid in Colombia ha lanciato l’offerta speciale “Perché mica posso usarli tutti io?”. Detto sempre col sorriso: lo stesso che ancora oggi riserva ai tifosi ducali adoranti quando torna a Parma, lo stesso delle dirette social con gli ex compagni, a raccontare più le marachelle che i gol. E marachelle e gol tipo quello di ventotto anni fa alla Lazio fanno pensare: ma quanto era bello il calcio anni ’90?
Ma mi ricordo male o i giocatori del Milan lo presero a spintoni al termine di quel famoso Milan-Parma 0-1 che mise fine a 58 gare di imbattibilità?