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Subject: Calcio: storia e aneddoti

2022-12-05 04:52:33
Nomi? Questa è talmente facile che sarebbe da "solo risposte sbagliate"


(edited)
2022-12-05 08:55:32
Non pensavo ci fosse così tanta differenza d'età. Gli anni passano...
2022-12-05 10:02:36
Pare Justin :)
2022-12-05 10:35:21
Facile dai, non è cambiato mai
2022-12-05 10:37:05
Arnold o Frank?
2022-12-05 10:40:33
Patrick
2022-12-05 16:48:55
Non pensavo ci fosse così tanta differenza d'età. Gli anni passano...

E ricordo (sigh) che sono stati anche compagni di squadra.
2022-12-05 17:02:34
Non ricordo un grande Kluivert al Milan
2022-12-05 18:54:36
Eh, appunto
2022-12-12 18:29:04
Siccome assisteremo molto probabilmente a una finale penosa vi suggerisco di buttare uno sguardo a questa, forse la più iconica di sempre. Versione colorata e definita... commento originale di Herbert Zimmermann
La parata di Toni Turek su Hidegkuti sembra poter contendere il titolo di "più bella di sempre" a quella di Banks a Pelè del Settanta.
2022-12-12 18:46:40
Ungheria che meritava tranquillamente la vittoria, direi.
Del commento ho capito solo "Puskas".
La parata a che minuto è?
2022-12-12 18:52:58
a 4.15 del video
2022-12-12 18:57:41
Meravigliosa, ma Gordon è Gordon..
2022-12-18 11:04:15
La posto qui

Adani: ‘Sono in panchina. Maradona il più grande ma prego Dio che vinca Messi’. Su CR7, le critiche e Cassano…
Calciomercato.com
Daniele Adani si è raccontato in un’intervista dai mille spunti al Corriere della Sera. Commenterà la finale per il terzo-quarto posto fra Marocco e Croazia.


MESSI DRIBBLA I CAMMELLI… - «Ha fatto di più: per preparare l’assist del 3-0, ha portato a spasso lungo tutta la fascia il più forte difensore dei Mondiali, Josko Gvardiol. Ha fatto una giocata di forza, non da Messi. In quel momento c’era Maradona in lui».


DIEGO L’AVEVA PREDETTO - «Da due anni, da quando è morto, non c’è giorno che io non pensi a Maradona. Intendeva che il calcio argentino non finiva con lui. Il giorno del suo ritiro, della sua morte sportiva, Diego pronunciò la frase più importante nella storia del football. La pelota no se mancha. Lui aveva sbagliato, e pagato. Ma il pallone non si macchia. Come il pennacchio di Cyrano (di Bergerac, ndr)».


I TELESPETTATORI PROTESTANO - «I telespettatori vogliono emozioni».


NIENTE FINALE MONDIALE - «Mi hanno insegnato che quando il mister ti manda in panchina non si chiede mai perché. Non era previsto che commentassi la finale. Ho fatto 14 telecronache. Un’esperienza stupenda; già mi manca. Una grande spedizione: Donatella Scarnati, Alessandro Antinelli e tutti gli altri hanno fatto un lavoro straordinario».


LA DIFFERENZA FRA GLI APPASSIONATI DI SKY E IL PUBBLICO GENERALISTA - «L’ho sentito dire anche in Rai. Ma pure il pubblico generalista è appassionato di calcio. Legga i messaggi che ricevo. Decine al giorno. Mi scrivono per ringraziare, commentare, chiedere aiuto…Le difese da parte di Aldo Grasso mi ha fatto molto piacere. Ma io non cerco il consenso. Cerco il dissenso. Quando hai dieci milioni di persone davanti al video, devi trasmettere loro qualcosa».


IL SUO PRIMO RICORDO CALCISTICO - «Spagna 1982, Italia-Brasile. Avevo otto anni. Papà e lo zio si abbracciavano ai gol di Paolo Rossi. Fu allora che compresi l’immensità del calcio. Il suo segreto».


IL SUO SEGRETO - «Il legame tra quel che senti guardando i campioni, e quel che senti giocando per strada».


IL SUO PRIMO CLUB - «Iniziato alla Sammartinese? Sì. E ho finito nella Sammartinese. Il più clamoroso dei salti all’indietro: dieci divisioni, dalla serie A alla seconda categoria. Avevo 34 anni, offerte dall’estero. Ma volevo tornare a casa, a San Martino in Rio, Reggio Emilia. Famiglia contadina. Di sinistra: il mito era Berlinguer. Papà Sante era artigiano, anzi artista: era più bravo a lavorare il legno di quanto non fossi io con il pallone. Mia madre Vanna, operaia, non c’è più da dieci anni. Anche se la sento sempre con me. Nella brezza che spira qui al diciannovesimo piano, nel caffè che stiamo bevendo, nel mare all’orizzonte…».


CR7 DOVREBBE TORNARE A CASA? - «Arriva sempre nella vita l’ora di restituire parte di quello che ti è stato donato: le grida d’amore di ottantamila persone. La morte sportiva è un momento drammatico. Guardi qui in Qatar: oltre a Cristiano, Suarez, Cavani, Modric, Di Maria, anche Messi…».


CREDE IN DIO? - «Certo. Non può finire tutto qui».


CHI E’ STATO IL PIU’ GRANDE - «Messi da diciotto anni ha una continuità non umana. Però ogni generazione ha il suo eroe. Per me il più grande è stato Maradona. Ma Guardiola indica la statua di Crujff e dice: dobbiamo tutto a lui. Secondo El Flaco Menotti il più grande calciatore della storia è Pelè: “El Negro es otra cosa…”. Fra gli italiani dico Baggio. Poi Pirlo. Mio padre dice Rivera. Maldini è stato il più grande difensore di sempre. Ho giocato con lui, e quando mi faceva segno di salire sentivo l’emozione alla gola, mi pareva di essere inadeguato. Ma gli immortali sono quelli che attaccano».


L’ATTACCANTE PIU’ FROTE CON CUI HA GIOCATO - «Ronaldo Luis Nazario da Lima: faceva cose che non si erano mai viste fare a nessuno. Poi Batistuta. L’ho incontrato qui l’altro giorno, in un parcheggio. Ci siamo abbracciati. Aveva le caviglie a pezzi. Ora sta meglio, ha ripreso a camminare. Il calcio è anche sofferenza».


SU BALOTELLI - «Era fortissimo. Aveva tutto. Ma è difficile resistere sia all’amore che ti piove addosso, sia all’invidia. Tutti vorrebbero fare il calciatore; quasi nessuno ci riesce».


GLI INIZI DA ALLENATORE - «Mancini mi chiese di fargli da vice all’Inter. Ma lavoravo già a Sky, e avevo dato la mia parola».


L’EPILOGO CON SKY - «Non lo so perché è finita. Non me l’hanno mai spiegato. Il rapporto prima si è raffreddato, poi si è interrotto».


LA PASSIONE PER I SUDAMERICANI - «Ho sempre legato molto con loro. Lunghe serate in ritiro a parlare e a bere mate: Hernan “Valdanito” Crespo, El Pupi Zanetti, El Chino Recoba, Carlos “Colorado” Gamarra…». I paraguagi Carlos Gamarra e Celso Ayala furono la più forte coppia di difensori centrali di Francia 1998! Ma l’amico più caro divenne Matias Almeyda: un hermano, un fratello. Andai a trovarlo a Buenos Aires, e scoprii il River. Di notte non dormivo: guardavo il campionato argentino, quello uruguagio, la Copa Libertadores, la Copa America... Cos’hanno di speciale? Il sangue bollente. Le giocate di strada. Messi di solito scannerizza il campo, ha un radar che gli fa vedere cose che altri non vedono, ma l’altra sera quel dribbling sulla fascia è stato una giocata di strada. Sapevo che l’avrebbe fatta. Come le ho detto che sarebbe finita Argentina-Croazia, quando ci siamo visti allo stadio prima della partita?».


LA GARRA CHARRUA - «È l’artiglio degli indios. È la rabbia con cui i nativi si difesero dagli invasori. Non si capisce il calcio sudamericano se non si coglie quel senso di ribellione che viene da dentro, che non accetta un No come risposta. È una passione al bordo della follia. L’ Uruguay è una delle due grandi passioni della mia vita. Perché è il miracolo del calcio. Tre milioni di abitanti, due Mondiali, due Olimpiadi, quindici Coppe America, quasi il doppio del Brasile. L’uruguagio dà il meglio quando è debole, sopraffatto, soverchiato. L’uruguagio è l’uomo a terra che si rialza. Tutti abbiamo dentro una scintilla del suo spirito. Quando la notte non riesco a dormire, penso al Capitan, lo vedo al Maracanà. L’altra è Mohammed Alì. Sono andato a piangere sulla sua tomba».


CHI E’ IL CAPITAN - «Obdulio Varela, detto El Negro Jefe, leader degli eroi del 1950. Segna il Brasile. El Capitan capisce che se l’Uruguay si sbilancia all’attacco, è finita. Allora tiene palla, abbassa il ritmo, congela la partita. Pepe Schiaffino, nipote di un macellaio di Camogli, pareggia in contropiede. Al 79’ parte Ghiggia e infila il 2-1 davanti a duecentomila brasiliani… (Adani ha le lacrime agli occhi). La vittoria più clamorosa nella storia del calcio».


SU ALLEGRI - «Non ce l’ho con lui. Per due volte ho interagito con lui, per due volte si è tolto l’auricolare e se n’è andato. Non si è evoluto. Lo farà, ne sono certo. Per ora, non mi piace come gioca e non mi piace come parla. Corto muso… Allegri non ha capito che il calcio contemporaneo deve dare emozioni. Il possesso palla è un mezzo, non un fine. Conta pressare, avanzare, calciare in porta».


SULLA BOBO TV - «È la cosa più rivoluzionaria. Mi sa che qualche suo collega giornalista la patisce un po’. Cassano non ne azzecca una? Bugia. Antonio è un generoso. Siete voi che volete sempre ridurlo al trash. L’avete preso in giro quando disse che Julian Alvarez era meglio di Haaland; e adesso Alvarez è la sorpresa del Mondiale».


SU QUANDO FECE RITROVARE UN RAGAZZO SCOMPARSO - «Vigilia di Inter-Juve, semifinale della Coppa Italia 2004. Un giornalista mi chiede di lanciare un appello per un padre di Brescia, disperato: il figlio, Francesco, non si trova più. Mi dicono che non si può. Così scrivo un messaggio sulla canottiera sotto la maglia. E penso: se segno, la faccio vedere. La Juve sta vincendo 2-1 a San Siro. Fuga di Stankovic sulla sinistra, cross, Emre che è piccolissimo la prende di testa, il portiere devia, io metto il piede, la palla entra. Corro verso centrocampo e mostro la scritta: “Francesco torna”. Il giorno dopo, Francesco tornò. Era in un bar di Genova, a guardare la partita. Crisi d’adolescenza; superata. Siamo rimasti in contatto, mi ha scritto l’altro giorno».


SU CHI VINCE DOMANI - «La favorita è la Francia: 55 a 45. Ma preghiamo il dio del calcio perché ponga una mano sulla testa di Leo Messi».
2023-01-08 09:31:44
My Football Heroes

Nell'Unione Sovietica del dopo-Stalin, c'era un giovane laureato in termoingegneria, con il grado di colonnello dell'Armata Rossa, con un lavoro da idraulico che "a tempo perso" giocava anche a calcio, precisamente nella Dinamo Kiev.
Chi aveva visto giocare Valeri Lobanovski assicurava che fosse anche un'ottima ala sinistra dotata di un tiro potente.
Solo che la sua carriera si chiuse presto, a 29 anni, quando lasciò la Dinamo per contrasti con l'allenatore Maslov.
"Non c'è spazio per la fantasia e non c'è spazio per le individualità nella esaltazione rigorosa del collettivo".
Era più o meno questa la critica che spinse Lobanovski a lasciare la società di Kiev sbattendo la porta.
Curioso pensare che, quando diventerà allenatore, porterà avanti le stesse idee che odiava in Maslov.
Anzi, non le porterà soltanto avanti.
Le innalzerà fino alle vette più alte.
Quando inizierà nel 1969 ad allenare il Dnipro, sostenuto dalla sua formazione e dai suoi studi, applicherà il metodo scientifico al calcio.
Riuscì a farsi dare un computer "primitivo" e con esso sviluppò un programma capace di analizzare le partite suddividendo il campo in 9 settori. In base a queste analisi era possibile capire i movimenti delle squadre avversarie e individuare le zone più vulnerabili.
Una volta scelta la "tattica di attacco", preparava i suoi giocatori con la disciplina e gli allenamenti dell'esercito.
Oltre alla famosa "salita della morte" raccontata da Buffa, c'erano ripetute a torso nudo nelle prime ore del mattino e corse infinite nei campi intorno alla città.
Con questo metodo di lavoro porta il Dnipro nella prima divisione sovietica per poi tornare alla Dinamo Kiev riaprendo quella porta sbattuta quando andò via da giocatore.
I risultati furono incredibili: nel 1974 la Dinamo diventa la prima squadra a fare l'accoppiata campionato-coppa nell'URSS e l'anno successivo diventa la prima sovietica a vincere in Europa vincendo la Coppa delle Coppe.
Trofeo seguito poi dalla Supercoppa Europea battendo il Bayern mentre uno dei suoi giocatori, Oleg Blokhin vince il Pallone d'oro.
Vincerà ancora altri campionati e un'altra Coppa delle Coppe contro l'Atletico Madrid nel 1985/86 con un sonoro 3-0 in finale.
"E' una squadra venuta dal futuro" fu la descrizione della partita da parte de "El Paìs".
Tali risultati e tale esaltazione del collettivo non poteva non fargli raccogliere consensi tra i vertici della Russia comunista. A lui, infatti, venne affidata la guida della nazionale sovietica in due momenti diversi: nel 1976 per le Olimpiadi di Montreal e nel 1986-88.
Specialmente nella seconda esperienza, l'Urss gioca un calcio strepitoso e verrà fermata a Messico '86 dal Belgio e dall'arbitro, mentre agli Europei del 1988 dovrà arrendersi al destro impossibile di Marco Van Basten.
Dopo un parziale declino in corrispondenza del crollo del blocco sovietico, il calcio di Lobanovski trovò nuova linfa a metà degli anni '90 quando ancora con la sua Dinamo Kiev vinse 5 campionati ucraini in 6 anni consegnando al mondo un campione unico: Andriy Shevchenko.
Morirà nel 2002, a bordo campo, durante una trasferta a Zaporozhye.
Esalerà l'ultimo sospiro lì dove aveva passato la sua vita.
In panchina, "per sempre fedele a guardia dei suoi soldati".
Il 6 gennaio 1939, a Kiev, nasceva Valeri Lobanovski.
Il colonnello Valeri Lobanovski
2023-01-09 19:53:49
“Il sistema Calcio è una merda", cari presidenti, non cadete dal pero
Le società cercano solo i risultati. Arrivano dei procuratori, anche negli Allievi, ti dicono “questo mio ragazzo deve giocare” e ti danno 30.000 euro. O alcuni allenatori che pagano 40.000 euro per essere assunti. Poi ci si chiede come mai l’Italia non va ai Mondiali. Cari presidenti e dirigenti, non cadete dal pero. Tutti sanno che nelle giovanili c’è gente che paga per allenare o giocare e nessuno fa nulla.
Oggigiorno le società per risparmiare prendono allenatori che lo fanno per hobby o come secondo lavoro. Tanti allenatori delle giovanili scaricano i filmati da internet per pianificare gli allenamenti, senza sapere se quell'esercizio abbia senso per i bambini.
Mio figlio mi dice sempre ‘Papà voglio giocare a Calcio’. Io invece lo porto nella natura a pescare. O hai le palle per resistere o se invece sei un bambino timido e chiuso meglio evitare.
Sinceramente l’unico motivo per cui vorrei che facesse questo mestiere è per i benefici economici, ma se penso al Calcio di oggi, per il bene che gli voglio sarebbe meglio stesse alla larga da questo ambiente di merda.
Ho fatto questa vita e non ci sputo sopra, ma o sei uno che ha due palle grandi così ed è disposto a mandare giù merda o se invece sei un bambino timido, un po' chiuso… meglio evitare.
-Simone Tiribocchi


un pò mi ci ritrovo, per fortuna il mio ha mollato dopo solo un mese... io sono nato con l'amore per il calcio, ho vissuto per il calcio fino a poco dopo i 20 ed ora, passati i 40, spero che i miei figli facciano tutto meno che il calcio (a prescindere dal fatto che comunque ho trovato sulla mia strada allenatori che mi hanno insegnato molto piu' dei miei professori di scuola...è proprio l'ambiente che mi stomaca)