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Subject: Calcio: storia e aneddoti

2023-07-13 13:44:53
Doni era un mio acquisto fisso al fanta
2023-07-13 13:50:18
Stesso anno, capocannonieri di B...tutto un altro livello rispetto alla B attuale

23 Luís Oliveira Como
20 Fabio Vignaroli Salernitana
17 Stefano Ghirardello Cittadella
16 Antonio Di Natale Empoli
16 Andrea Fabbrini Modena
16 Francesco Flachi Sampdoria
15 Gianluca Savoldi Reggina
15 Massimo Margiotta Vicenza
15 Fabrizio Miccoli Ternana
15 Gionatha Spinesi Bari
15 Denis Godeas Messina
2023-07-13 17:18:31
F. Maniero, che probabilmente è il più scarso del lotto, oggi sarebbe titolare indiscusso della NT e giocherebbe in una big.
2023-07-13 20:40:21
A sparare merda su Dele Alli si fa sempre in tempo, e io non mi sono mai tirato indietro.

Da oggi però è diventato uno dei calciatori per cui faccio il tifo

https://youtu.be/LyDL9EUIdy0
2023-07-13 21:29:13
Nessuno immaginava una storia del genere
2023-07-27 15:47:34
Tutto gli si poteva dire, tranne che gli mancasse visione.

Nel 2007, intervistato da La7, Silvio Berlusconi aveva previsto tutto: dalle difficoltà del calcio italiano al dominio della Premier League, fino all'arrivo degli arabi. Ecco le parole dell'ex presidente del Milan, recentemente scomparso: "Vedo la Serie A che sta diventando sempre più povera. Siamo leader ora, ma in 17 anni saremo un supermercato per gli altri. La Premier League sarà la Lega numero uno, con tutti gli altri campionati dietro. Noi non abbiamo fondi. Dopo gli Arabi arriveranno nel nostro calcio, e non avremo più nessun appeal per le altre: non ci sono infrastrutture o stadi, siamo già adesso indietro di 30 anni.

Lo sapete che gli Arabi stanno costruendo intere città nel deserto? C'è talmente tanto potere economico in quelle aree, che non si fermeranno di certo! Entreranno sicuramente nel Calcio, perchè è il business più grande e dà grandissima visibilità. E noi cosa offriamo? Se il governo non interviene, saremo la 3° Lega. In Inghilterra stanno incentivando i giovani a giocare a calcio, ed il governo elargisce fondi alle scuole calcio. Lo fanno anche in Germania. n Italia noi invece rimaniamo fermi, quasi come se aspettassimo che tutto questo continui di diritto! Quando parlo di queste cose le persone mi prendono per pazzo, ma io guardo al futuro e sono onesto con voi. Vedo un futuro del calcio italiano molto triste".
2023-08-03 13:30:13
è OT ma va letto (forse lo sport dovrebbe servire a questo)

https://twitter.com/fasc1nate/status/1686811441641459712


Fascinating
@fasc1nate

Jesse Owens of USA winning gold for the long jump in the summer Olympics in Germany, 1936.⁣⁣ ⁣⁣ The man saluting behind Owens is Lutz Long, a German who shared training tips with Owens and was the first to openly congratulate him after his final jump in full view of Hitler.

After the Olympics, the two kept in touch via mail. Below is Long's last letter to Owens while he was stationed with the German Army in North Africa during World War 2. Long was later killed in action during the allied invasion of Sicily in 1943.⁣⁣ ⁣⁣

"I am here, Jesse, where it seems there is only the dry sand and the wet blood. I do not fear so much for myself, my friend Jesse, I fear for my woman who is home, and my young son Karl, who has never really known his father.⁣⁣

My heart tells me, if I be honest with you, that this is the last letter I shall ever write. If it is so, I ask you something. It is a something so very important to me.

It is you go to Germany when this war done, someday find my Karl, and tell him about his father. Tell him, Jesse, what times were like when we not separated by war. I am saying—tell him how things can be between men on this earth.⁣⁣ ⁣⁣

If you do this something for me, this thing that I need the most to know will be done, I do something for you, now. I tell you something I know you want to hear. And it is true.⁣⁣ ⁣⁣

That hour in Berlin when I first spoke to you, when you had your knee upon the ground, I knew that you were in prayer.⁣⁣ ⁣⁣ Then I not know how I know. Now I do. I know it is never by chance that we come together. I come to you that hour in 1936 for purpose more than der Berliner Olympiade.⁣⁣ ⁣⁣

And you, I believe, will read this letter, while it should not be possible to reach you ever, for purpose more even than our friendship.⁣⁣ ⁣⁣ I believe this shall come about because I think now that God will make it come about. This is what I have to tell you, Jesse.⁣⁣ ⁣⁣

I think I might believe in God.⁣⁣ And I pray to him that, even while it should not be possible for this to reach you ever, these words I write will still be read by you.⁣⁣ ⁣⁣

Your brother,⁣⁣ Luz"⁣⁣
2023-08-03 13:54:42
Contrasti
3 g
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⚜️ Questa non è la classica storia pane salame nostalgia, ché sarebbe onestamente stucchevole. Quella di Christian Riganò, abbiamo appreso da un'intervista al Corriere della Sera di qualche giorno fa, è una storia perfettamente normale, resa anormale in un mondo che arriva ad offrire 1 miliardo di € per le prestazioni di un calciatore.
⚽️ Partiamo col dire per i più giovani che Riganò è quel centravanti da 300 reti simbolo della rinascita della Fiorentina ad inizio anni Duemila (dalla C2 alla Serie A passando per il fallimento), e a cui la Fiesole già in quegli anni dedicava un coro meraviglioso: "Prima era un muratore, ora è il nostro goleador". Non è un dettaglio secondario. Come altri attaccanti di una volta (il più abusato nelle citazioni è Hubner, ma ricordiamo anche Zampagna ad esempio), Riganò viveva il calcio come un mestiere: da attaccante, l'obiettivo era fare gol. Da muratore, quello di costruire cose. Una passione che non si è assopita a suon di reti, al contrario.
???? Al CorSera Riganò ha infatti dichiarato che “con il calcio ho guadagnato bene e ne sono felice. In tutta la mia carriera però ho incassato quanto molti giocatori di media fascia oggi guadagnano in tre mesi. Ecco perché poi bisogna tornare a lavorare”. E ancora: “Io sono fatto così, amo costruire e riparare le cose. Così, non avendo avuto la chiamata giusta per allenare, sono tornato a fare il mio lavoro”.
???? Non c'è niente di anormale in queste dichiarazioni. Forse è per questo che ci commuovono. Riganò, che oggi vive a Campo di Marte (a due passi dal Franchi e dalla Curva Fiesole), continua oggi ad essere un grande tifoso della Fiorentina, e da curvarolo quale è si gode le prestazioni del Giglio in mezzo ai suoi amici, insieme alla sua gente. Non ha dimenticato il suo passato, è davvero diventato ciò che è: “Due cose so fare nella vita: i gol e il muratore. Così, dopo aver smesso di giocare, sono tornato a fare il mio mestiere, mi piace e ne vado orgoglioso”.
2023-08-03 20:15:03
Altro Calcio Anni '80-'90
1 g
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OSVALDO BAGNOLI: "Quando vinsi lo scudetto alla guida del Verona (stagione 1984/85) la serie A era un campionato stellare, c’erano i più grandi calciatori del mondo. Costruimmo una squadra forte cercando di sfruttare le motivazioni di giocatori che nei loro club si sentivano esclusi. Ad esempio Di Gennaro nella Fiorentina aveva davanti Antognoni, e Fanna nella Juve aveva Causio. Da noi erano liberi e indispensabili. E poi azzeccammo gli stranieri, Briegel ed Elkjaer. Quelli erano i tempi dei giocatori uomini. Ci volevamo bene e ce ne vogliamo ancora. Con i ragazzi ci vediamo ogni tanto, facciamo delle cene e delle gite, adesso veramente un po’ meno perché io non sono troppo in forma e in alcune giornate non ho più memoria.
FONTE: LA REPUBBLICA
2023-08-03 21:13:57
Elkjaer ebbe un effetto dirompente... più di Kvara quest'anno
2023-08-03 23:54:57
“con il calcio ho guadagnato bene e ne sono felice. In tutta la mia carriera però ho incassato quanto molti giocatori di media fascia oggi guadagnano in tre mesi. Ecco perché poi bisogna tornare a lavorare”

In Arabia in 2 settimane... però forse qui ha esagerato. Dubito che in oltre 20 anni di carriera abbia accumulato così poco.
2023-08-28 15:52:30
2023-08-30 17:23:08
vado OT



L'UOMO BIANCO IN QUELLA FOTO.
Le fotografie, a volte, ingannano.
Prendete questa immagine, per esempio.
Racconta il gesto di ribellione di Tommie Smith e John Carlos il giorno della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico e mi ha ingannato un sacco di volte.
L’ho sempre guardata concentrandomi sui due uomini neri scalzi, con il capo chino e il pugno guantato di nero verso il cielo, mentre suona l’inno americano. Un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno di tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy.
È la foto del gesto storico di due uomini di colore. Per questo non ho mai osservato troppo quell’uomo, bianco come me, immobile sul secondo gradino.
L’ho considerato una presenza casuale, una comparsa, una specie di intruso. Anzi, ho perfino creduto che quel tizio – doveva essere un inglese smorfioso – rappresentasse, nella sua glaciale immobilità, la volontà di resistenza al cambiamento che Smith e Carlos invocavano con il loro grido silenzioso.
Invece sono stato ingannato.
Grazie a un vecchio articolo di Gianni Mura, oggi ho scoperto la verità: l’uomo bianco nella foto è, forse, l’eroe più grande emerso da quella notte del 1968.
Si chiamava Peter Norman, era australiano e arrivò alla finale dei 200 metri dopo aver corso un fantastico 20.22 in semifinale. Solo i due americani Tommie “The Jet” Smith e John Carlos avevano fatto meglio: 20.14 il primo e 20.12 il secondo.
La vittoria si sarebbe decisa tra loro due, Norman era uno sconosciuto cui giravano bene le cose. John Carlos, anni dopo, disse di essersi chiesto da dove fosse uscito quel piccoletto bianco. Un uomo di un metro settantotto che correva veloce come lui e Smith, che superavano entrambi il metro e novanta.
Arrivò la finale e l’outsider Peter Norman corse la gara della vita, migliorandosi ancora. Chiuse in 20.06, sua prestazione migliore di sempre e record australiano ancora oggi imbattuto, a 47 anni di distanza.
Ma quel record non bastò, perché Tommie Smith era davvero “The jet” e rispose con il record del mondo. Abbatté il muro dei venti secondi, primo uomo della storia, chiudendo in 19.82 e prendendosi l’oro.
John Carlos arrivò terzo di un soffio, dietro la sorpresa Norman, unico bianco in mezzo ai fuoriclasse di colore.
Fu una gara bellissima, insomma.
Eppure quella gara non sarà mai ricordata quanto la sua premiazione.
Non passò molto dalla fine della corsa perché si capisse che sarebbe successo qualcosa di forte, di inaudito, al momento di salire sul podio.
Smith e Carlos avevano deciso di portare davanti al mondo intero la loro battaglia per i diritti umani e la voce girava tra gli atleti.
Norman era un bianco e veniva dall’Australia, un paese che aveva leggi di apartheid dure quasi come quelle sudafricane. Anche in Australia c’erano tensioni e proteste di piazza a seguito delle pesanti restrizioni all’immigrazione non bianca e leggi discriminatorie verso gli aborigeni, tra cui le tremende adozioni forzate di bambini nativi a vantaggio di famiglie di bianchi.
I due americani chiesero a Norman se lui credesse nei diritti umani.
“Sapevamo che andavamo a fare qualcosa ben al di là di qualsiasi competizione sportiva e lui disse “sarò con voi” – ricorda John Carlos – Mi aspettavo di vedere paura negli occhi di Norman, invece ci vidi amore”.
Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio portando al petto uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti solidali con le battaglie di uguaglianza.
Avrebbero ritirato le medaglie scalzi, a rappresentare la povertà degli uomini di colore. E avrebbero indossato i famosi guanti di pelle nera, simbolo delle lotte delle Pantere Nere.
Ma prima di andare sul podio si resero conto di avere un solo paio di guanti neri.
“Prendetene uno a testa” suggerì il corridore bianco e loro accettarono il consiglio.
Ma poi Norman fece qualcos’altro.
“Io credo in quello in cui credete voi. Avete uno di quelli anche per me?“ chiese indicando lo stemma del Progetto per i Diritti Umani sul petto degli altri due. “Così posso mostrare la mia solidarietà alla vostra causa”.
Smith ammise di essere rimasto stupito e aver pensato: “Ma che vuole questo bianco australiano? Ha vinto la sua medaglia d’argento, che se la prenda e basta!”.
Così gli rispose di no, anche perché non si sarebbe privato del suo stemma. Ma con loro c’era un canottiere americano bianco, Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani. Aveva ascoltato tutto e pensò che “se un australiano bianco voleva uno di quegli stemmi, per Dio, doveva averlo!”. Hoffman non esitò: “Gli diedi l’unico che avevo: il mio”.
I tre uscirono sul campo e salirono sul podio: il resto è passato alla storia, con la potenza di quella foto.
“Non ho visto cosa succedeva dietro di me – raccontò Norman – Ma ho capito che stava andando come avevano programmato quando una voce nella folla iniziò a cantare l’inno Americano, ma poi smise. Lo stadio divenne silenzioso”.
Il capo delegazione americano giurò che i suoi atleti avrebbero pagato per tutta la vita quel gesto che non c’entrava nulla con lo sport. Immediatamente Smith e Carlos furono esclusi dal team americano e cacciati dal villaggio olimpico, mentre il canottiere Hoffman veniva accusato pure lui di cospirazione.
Tornati a casa i due velocisti ebbero pesantissime ripercussioni e minacce di morte.
Ma il tempo, alla fine, ha dato loro ragione e sono diventati paladini della lotta per i diritti umani. Sono stati riabilitati, collaborando con il team americano di atletica e per loro è stata eretta una statua all’Università di San José.
In questa statua non c’è Peter Norman.
Quel posto vuoto sembra l’epitaffio di un eroe di cui nessuno si è mai accorto. Un atleta dimenticato, anzi, cancellato, prima di tutto dal suo paese, l’Australia.
Quattro anni dopo Messico 1968, in occasione delle Olimpiadi di Monaco, Norman non fu convocato nella squadra di velocisti australiani, pur avendo corso per ben 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100.
Per questa delusione, lasciò l’atletica agonistica, continuando a correre a livello amatoriale.
In patria, nell’Australia bianca che voleva resistere al cambiamento, fu trattato come un reietto, la famiglia screditata, il lavoro quasi impossibile da trovare. Fece l’insegnante di ginnastica, continuò le sua battaglie come sindacalista e lavorò saltuariamente in una macelleria. Un infortunio gli causò una grave cancrena e incorse in problemi di depressione e alcolismo.
Come disse John Carlos “Se a noi due ci presero a calci nel culo a turno, Peter affrontò un paese intero e soffrì da solo”.
Per anni Norman ebbe una sola possibilità di salvarsi: fu invitato a condannare il gesto dei suoi colleghi Tommie Smith e John Carlos, in cambio di un perdono da parte del sistema che lo aveva ostracizzato. Un perdono che gli avrebbe permesso di trovare un lavoro fisso tramite il comitato olimpico australiano ed essere parte dell’organizzazione delle Olimpiadi di Sidney 2000.
Ma lui non mollò e non condannò mai la scelta dei due americani.
Era il più grande sprinter australiano mai vissuto e detentore del record sui 200, eppure non ebbe neppure un invito alle Olimpiadi di Sidney. Fu il comitato olimpico americano, una volta scoperta la notizia a chiedergli di aggregarsi al proprio gruppo e a invitarlo alla festa di compleanno del campione Michael Johnson per cui Peter Norman era un modello e un eroe.
Norman morì improvvisamente per un attacco cardiaco nel 2006, senza che il suo paese lo avesse mai riabilitato.
Al funerale Tommie Smith e John Carlos, rimasti amici di Norman da quel lontano 1968, ne portarono la bara sulle spalle, salutandolo come un eroe.
“Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c’è nessuno più di lui che l’Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare” disse John Carlos.
“Ha pagato il prezzo della sua scelta – spiegò Tommie Smith – Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa”.
Solo nel 2012 il Parlamento Australiano ha approvato una tardiva dichiarazione per scusarsi con Peter Norman e riabilitarlo alla storia con queste parole:
“Questo Parlamento riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman che vinse la medaglia d’argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano.
Riconosce il coraggio di Peter Norman nell’indossare il simbolo del Progetto OIimpico per i Diritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e John Carlos, che fecero il saluto del “potere nero”.
Si scusa tardivamente con Peter Norman per l’errore commesso non mandandolo alle Olimpiadi del 1972 di Monaco, nonostante si fosse ripetutamente qualificato e riconosce il potentissimo ruolo che Peter Norman giocò nel perseguire l’uguaglianza razziale”.
Ma, forse, le parole che ricordano meglio di tutti Peter Norman sono quelle semplici eppure definitive con cui lui stesso spiegò le ragioni del suo gesto, in occasione del film documentario “Salute”, girato dal nipote Matt.
“Non vedevo il perché un uomo nero non potesse bere la stessa acqua da una fontana, prendere lo stesso pullman o andare alla stessa scuola di un uomo bianco.
Era un’ingiustizia sociale per la qualche nulla potevo fare da dove ero, ma certamente io la detestavo.
È stato detto che condividere il mio argento con tutto quello che accadde quella notte alla premiazione abbia oscurato la mia performance.
Invece è il contrario.
Lo devo confessare: io sono stato piuttosto fiero di farne parte”.
Riccardo Gazzaniga
(edited)
2023-08-30 17:35:05
Dal nulla, un Uomo
2023-08-30 18:05:09
non sapevo.
grazie Keevan
2023-09-07 19:39:28
Micah Richards, ex difensore, tra le altre, di Manchester City e Fiorentina, ha raccontato al canale YouTube "The Rest Is Football" questo divertente aneddoto che riguarda anche Mario Balotelli, suo ex compagno di squadra ai Citizens: "Sono andato alla Fiorentina nell’ultimo giorno di mercato. Ma non parlavo italiano, se non cose basilari. Come un vero idiota ho chiesto a Balotelli come avrei potuto dire per salutare qualcuno. Sono andato a incontrare per la prima volta l'allenatore Montella, gli stringo la mano e gli dico: 'Testa di ca**o'".