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Subject: Raffaella Carrà
“Un figlio non si può programmare come si fa con uno spettacolo televisivo o un concerto. Avevo trent’anni e le mie giornate si susseguivano rapide e concitate tra interviste, prove a teatro, show e musica.
Quando provai ad averlo, già guardavo con tenerezza i negozi dedicati all’infanzia e immaginavo una stanza dai colori pastello e con una piccola culla al centro. Ma è stata una felicità breve. I mesi passavano e questo bimbo non arrivava. Sono andata dal ginecologo per un controllo e lì ho fatto l’amara scoperta: ormai era troppo tardi. Ma anche io volevo donare qualcosa di buono come quello che avevo ricevuto nella vita. Così ho riversato tutto l’amore che avevo dentro sui miei due nipoti. Mio fratello, purtroppo è scomparso giovane, così sono diventata per loro una sorta di ‘papà’ più che di zia.
Poi mi sono dedicata alle adozioni a distanza: sostengo bambini po’ in tutto il mondo e di tanto in tanto li vado a trovare. Non dimenticherò mai l’emozione che ho provato quando sono stata in Guatemala a incontrare Luis, che allora aveva otto anni. C’era la madre e un altro fratellino che subito mi si è stretto al grembo. Mi sono, per così dire, circondata di infanzia, riuscendo a colmare quel vuoto che avevo dentro. La spontaneità e l’innocenza di questi bimbi mi permette di invecchiare in modo sereno, di placare l’irruenza del mio carattere, lasciando spazio a una Raffaella più pacata, razionale e paziente.”
Quando provai ad averlo, già guardavo con tenerezza i negozi dedicati all’infanzia e immaginavo una stanza dai colori pastello e con una piccola culla al centro. Ma è stata una felicità breve. I mesi passavano e questo bimbo non arrivava. Sono andata dal ginecologo per un controllo e lì ho fatto l’amara scoperta: ormai era troppo tardi. Ma anche io volevo donare qualcosa di buono come quello che avevo ricevuto nella vita. Così ho riversato tutto l’amore che avevo dentro sui miei due nipoti. Mio fratello, purtroppo è scomparso giovane, così sono diventata per loro una sorta di ‘papà’ più che di zia.
Poi mi sono dedicata alle adozioni a distanza: sostengo bambini po’ in tutto il mondo e di tanto in tanto li vado a trovare. Non dimenticherò mai l’emozione che ho provato quando sono stata in Guatemala a incontrare Luis, che allora aveva otto anni. C’era la madre e un altro fratellino che subito mi si è stretto al grembo. Mi sono, per così dire, circondata di infanzia, riuscendo a colmare quel vuoto che avevo dentro. La spontaneità e l’innocenza di questi bimbi mi permette di invecchiare in modo sereno, di placare l’irruenza del mio carattere, lasciando spazio a una Raffaella più pacata, razionale e paziente.”
Le voglio dire una cosa: io sono cresciuta senza un padre. Era danaroso, ma troppo playboy, e mia madre divorziò nel 1945. Era molto avanti, forse qualcosa mi è rimasto. Non mi sono mai voluta sposare e mi ha sempre fatto arrabbiare non poter adottare figli senza l’obbligo di quest’anello! Oggi, quando si parla delle adozioni a coppie gay, ma anche etero, faccio un pensiero: “Ma io con chi sono nata, con chi sono cresciuta?” Mi rispondo: con due donne, mia madre e mia nonna. Facciamoli uscire i bambini dagli orfanotrofi, non crescono così male anche se avranno due padri o due madri. Io le ho avute. Sono venuta male?
Rip
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