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Subject: Hamas vs Israele
Torture da parte dell'esercito israeliano sui prigionieri
Immagino che anche questo si possa giustificare, no?
basta pensare che sono "bestie" e vale tutto.
Immagino che anche questo si possa giustificare, no?
basta pensare che sono "bestie" e vale tutto.
Non le giustifichi ma, al momento, sono accuse e vanno provate.
Purtroppo sono accuse credibili; che nelle carceri israeliane vengano esercitate violenze nei confronti di palestinesi detenuti è sicuro da ben prima del 7 ottobre.
Esempio
da cui stralcio:
considerando che nel 2007 due relazioni pubblicate da ONG israeliane hanno dimostrato che i prigionieri palestinesi sono soggetti a maltrattamenti fisici e privati delle necessità di base, quali il cibo e il sonno per periodi superiori a 24 ore; considerando che tali fatti sono stati confermati dalla relazione del Pubblico comitato contro la tortura in Israele (PCATI) intitolata "No Defence: violenze dei militari sui detenuti palestinesi", pubblicata il 22 giugno 2008; che, nonostante il fenomeno della violenza nei confronti dei detenuti palestinesi da parte dei militari sia ben noto, soltanto un esiguo numero di indagini e procedimenti legali sono stati avviati al riguardo, e che tali violenze e sevizie spesso hanno lo scopo di costringere i detenuti palestinesi a diventare collaboratori o informatori di Israele
Purtroppo sono accuse credibili; che nelle carceri israeliane vengano esercitate violenze nei confronti di palestinesi detenuti è sicuro da ben prima del 7 ottobre.
Esempio
da cui stralcio:
considerando che nel 2007 due relazioni pubblicate da ONG israeliane hanno dimostrato che i prigionieri palestinesi sono soggetti a maltrattamenti fisici e privati delle necessità di base, quali il cibo e il sonno per periodi superiori a 24 ore; considerando che tali fatti sono stati confermati dalla relazione del Pubblico comitato contro la tortura in Israele (PCATI) intitolata "No Defence: violenze dei militari sui detenuti palestinesi", pubblicata il 22 giugno 2008; che, nonostante il fenomeno della violenza nei confronti dei detenuti palestinesi da parte dei militari sia ben noto, soltanto un esiguo numero di indagini e procedimenti legali sono stati avviati al riguardo, e che tali violenze e sevizie spesso hanno lo scopo di costringere i detenuti palestinesi a diventare collaboratori o informatori di Israele
Il responsabile umanitario delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, dice che “14.000 bambini potrebbero morire a Gaza nelle prossime 48 ore, se gli aiuti non arriveranno in tempo“. Lo ha detto al programma “Today’s” di Radio 4, sulla BBC. Perché ovviamente le briciole di aiuti umanitari che Israele ha “liberato”, peraltro non a scopi umanitari (“lo facciamo perché i nostri amici-alleati non vogliono vedere immagini di carestia”…) non bastano nemmeno lontanamente ad aiutare i 2 milioni di palestinesi ridotti alla fame, mentre l’esercito israeliano ha lanciato l’invasione della Striscia via terra.
Fletcher descritto questo invio come una “goccia nell’oceano” e ha affermato che i camion si trovano tecnicamente a Gaza ma non hanno ancora raggiunto i civili dall’altra parte del confine.
Alla domanda su come le Nazioni Unite siano arrivate a questa cifra – 14.000 bambini in 48 ore – ha risposto: “Abbiamo squadre forti sul campo, e ovviamente molti di loro sono stati uccisi… abbiamo ancora molte persone sul campo, sono nei centri medici, sono nelle scuole… cercano di valutare le necessità. Speriamo di riuscire a far passate oggi cento camion. Sarà dura. Ma li riempiremo di cibo per bambini e la nostra gente correrà questi rischi”
Situazione tragica, cifre a caso
Fletcher descritto questo invio come una “goccia nell’oceano” e ha affermato che i camion si trovano tecnicamente a Gaza ma non hanno ancora raggiunto i civili dall’altra parte del confine.
Alla domanda su come le Nazioni Unite siano arrivate a questa cifra – 14.000 bambini in 48 ore – ha risposto: “Abbiamo squadre forti sul campo, e ovviamente molti di loro sono stati uccisi… abbiamo ancora molte persone sul campo, sono nei centri medici, sono nelle scuole… cercano di valutare le necessità. Speriamo di riuscire a far passate oggi cento camion. Sarà dura. Ma li riempiremo di cibo per bambini e la nostra gente correrà questi rischi”
Situazione tragica, cifre a caso
La melona che schifo!... Poi un appello detto da conte ahahah
eeeehhhh se c'è gonde già aveva schierato le truppe a favore della Palestina e dichiarato guerra a Usa e Europa hhahahahaha
Nathania Zevi ·
Essere ebrei oggi significa portare sulle spalle una doppia, direi quasi insopportabile, responsabilità: quella di tentare di vivere, per quanto semi normalmente, e spiegare. Spiegare sempre.
Spiegare che essere ebrei non equivale a sedere sugli scranni del governo di Israele, di questo governo di #Israele, che è - peraltro - uno dei (tanti) governi che Israele ha avuto. Che la parola sionista non solo non è sinonimo di nazista ma tantomeno di pensiero violento. Che Israele per noi è legame profondissimo, riferimento, non dittatura ideologica, non vincolo che ci obbliga a conformarci ad un’unica opinione; cosa che, ovviamente, per la sua medesima storia e conformazione dialogica, il popolo ebraico non potrebbe mai avere.
Occorre spiegare, per quanto assurdo e fuori luogo, diverse volte al giorno, che anche noi ebrei critichiamo, discutiamo, ci spingiamo (talvolta l’un l’altro) al dissenso da sempre — perché il dibattito è parte del nostro DNA, da secoli prima che la parola “democrazia” entrasse nei dizionari politici.
Ma oggi no. Oggi ci viene chiesto di ridurre tutto a un sì o un no. O sei con o sei contro. E se sei ebreo, allora prima dimmi, o meglio ancora dillo pubblicamente: sei contro Netanyahu? Contro il governo? Contro l’occupazione? Come se la tua identità fosse subordinata a un test di purezza politica o umana.
Come se ogni ebreo fosse funzionario non richiesto, mai eletto, di una nazione intera, di cui magari non ha il passaporto. Come se fossimo tutti imputati in un processo collettivo, dove si può essere assolti solo denunciando pubblicamente qualcosa o qualcuno.
Ma chi lo chiede non capisce — o finge di non capire o sentire — che la vera forza del popolo ebraico è sempre stata - e lo è ancora oggi - la voce molteplice. Il Talmud non è un codice. È un dialogo infinito, fatto di opinioni divergenti, anche contraddittorie.
In Israele, le proteste - da anni - non si contano. La piazza è viva, la critica è feroce, molto più che in Europa, i confronti davanti ad ogni tavola dello Shabbat spesso accesissimi.
Lo stesso vale per noi ebrei della diaspora, sgomenti, proprio come tutti, di fronte a una guerra che si protrae e alle sofferenze di tutti, TUTTI, anche dei civili di Gaza, anche dei civili di Gaza, certo.
La pensiamo in tanti modi diversi, come è ovvio. Come è normale, come è umano. Il nostro spirito critico è vivo.
Ma tutto questo, questa pluralità, queste nostre legittime individualità, sembrano non interessare, sparire, confondersi in una massa indistinta - eppure tanto funzionale - contro cui si punta talvolta un dito e sempre, sempre il punto interrogativo.
Perché non mi chiedono ogni giorno cosa penso dell’attualità, della politica, della cronaca italiana?
Non lo chiedono (non dirò chiedete, perché commetterei lo stesso errore di chi, più volte al giorno, si riferisce a me come VOI, mentre sono ancora un IO, come tutti) perché agli ebrei non si concede il lusso della complessità. Si pretende una sola voce. Un solo pensiero. Una dichiarazione di innocenza preventiva.
Ecco perché rifiuto di dover dimostrare quotidianamente la mia distanza da Israele, come rifiuto di dover quotidianamente dimostrare la mia distanza o la mia vicinanza a tante cose, a partire da ciò che Israele ha rappresentato per me, una garanzia di sopravvivenza per gli ebrei nel mondo, e molto altro.
Non mi dissocio, perché non ho nulla da cui dissociarmi, ma sono disponibile a discutere, a parlare, sempre. Come dovrebbero esserlo tutti. Noi pensiamo. Noi protestiamo. Noi litighiamo su questo e quel punto, come sempre, viviamo in dialogo.
Non rimarrò asserragliata né imbarazzata, di fronte a domande o silenzi, o alla paura, e non chiederò il permesso per essere tra coloro che, a loro volta, e a schiena dritta, si interrogano sul prossimo.
Non è un privilegio ma un diritto, come lo è per tutti gli altri. Quando una minoranza è costretta a giustificarsi, spiegarsi, per esistere, la democrazia ha già perso qualcosa.
Questo clima che da mesi monta sta producendo un veleno sottile: la diffidenza. E vorrei combatterlo sapendo di avere a fianco tanti di voi.
Nessuno, più di un altro, deve essere osservato, misurato, testato. Ogni sua parola passata al vaglio per capire se è “abbastanza critico”, “abbastanza lontano”, “abbastanza non conforme”.
Serve una riflessione vera, collettiva, prima che il punto di non ritorno venga superato, è appena successo a #Washington.
Essere ebrei oggi significa portare sulle spalle una doppia, direi quasi insopportabile, responsabilità: quella di tentare di vivere, per quanto semi normalmente, e spiegare. Spiegare sempre.
Spiegare che essere ebrei non equivale a sedere sugli scranni del governo di Israele, di questo governo di #Israele, che è - peraltro - uno dei (tanti) governi che Israele ha avuto. Che la parola sionista non solo non è sinonimo di nazista ma tantomeno di pensiero violento. Che Israele per noi è legame profondissimo, riferimento, non dittatura ideologica, non vincolo che ci obbliga a conformarci ad un’unica opinione; cosa che, ovviamente, per la sua medesima storia e conformazione dialogica, il popolo ebraico non potrebbe mai avere.
Occorre spiegare, per quanto assurdo e fuori luogo, diverse volte al giorno, che anche noi ebrei critichiamo, discutiamo, ci spingiamo (talvolta l’un l’altro) al dissenso da sempre — perché il dibattito è parte del nostro DNA, da secoli prima che la parola “democrazia” entrasse nei dizionari politici.
Ma oggi no. Oggi ci viene chiesto di ridurre tutto a un sì o un no. O sei con o sei contro. E se sei ebreo, allora prima dimmi, o meglio ancora dillo pubblicamente: sei contro Netanyahu? Contro il governo? Contro l’occupazione? Come se la tua identità fosse subordinata a un test di purezza politica o umana.
Come se ogni ebreo fosse funzionario non richiesto, mai eletto, di una nazione intera, di cui magari non ha il passaporto. Come se fossimo tutti imputati in un processo collettivo, dove si può essere assolti solo denunciando pubblicamente qualcosa o qualcuno.
Ma chi lo chiede non capisce — o finge di non capire o sentire — che la vera forza del popolo ebraico è sempre stata - e lo è ancora oggi - la voce molteplice. Il Talmud non è un codice. È un dialogo infinito, fatto di opinioni divergenti, anche contraddittorie.
In Israele, le proteste - da anni - non si contano. La piazza è viva, la critica è feroce, molto più che in Europa, i confronti davanti ad ogni tavola dello Shabbat spesso accesissimi.
Lo stesso vale per noi ebrei della diaspora, sgomenti, proprio come tutti, di fronte a una guerra che si protrae e alle sofferenze di tutti, TUTTI, anche dei civili di Gaza, anche dei civili di Gaza, certo.
La pensiamo in tanti modi diversi, come è ovvio. Come è normale, come è umano. Il nostro spirito critico è vivo.
Ma tutto questo, questa pluralità, queste nostre legittime individualità, sembrano non interessare, sparire, confondersi in una massa indistinta - eppure tanto funzionale - contro cui si punta talvolta un dito e sempre, sempre il punto interrogativo.
Perché non mi chiedono ogni giorno cosa penso dell’attualità, della politica, della cronaca italiana?
Non lo chiedono (non dirò chiedete, perché commetterei lo stesso errore di chi, più volte al giorno, si riferisce a me come VOI, mentre sono ancora un IO, come tutti) perché agli ebrei non si concede il lusso della complessità. Si pretende una sola voce. Un solo pensiero. Una dichiarazione di innocenza preventiva.
Ecco perché rifiuto di dover dimostrare quotidianamente la mia distanza da Israele, come rifiuto di dover quotidianamente dimostrare la mia distanza o la mia vicinanza a tante cose, a partire da ciò che Israele ha rappresentato per me, una garanzia di sopravvivenza per gli ebrei nel mondo, e molto altro.
Non mi dissocio, perché non ho nulla da cui dissociarmi, ma sono disponibile a discutere, a parlare, sempre. Come dovrebbero esserlo tutti. Noi pensiamo. Noi protestiamo. Noi litighiamo su questo e quel punto, come sempre, viviamo in dialogo.
Non rimarrò asserragliata né imbarazzata, di fronte a domande o silenzi, o alla paura, e non chiederò il permesso per essere tra coloro che, a loro volta, e a schiena dritta, si interrogano sul prossimo.
Non è un privilegio ma un diritto, come lo è per tutti gli altri. Quando una minoranza è costretta a giustificarsi, spiegarsi, per esistere, la democrazia ha già perso qualcosa.
Questo clima che da mesi monta sta producendo un veleno sottile: la diffidenza. E vorrei combatterlo sapendo di avere a fianco tanti di voi.
Nessuno, più di un altro, deve essere osservato, misurato, testato. Ogni sua parola passata al vaglio per capire se è “abbastanza critico”, “abbastanza lontano”, “abbastanza non conforme”.
Serve una riflessione vera, collettiva, prima che il punto di non ritorno venga superato, è appena successo a #Washington.
Ha ragione, ma vale per tutti i popoli e tutte le guerre.
Secondo te ai russi non succede?
Agli americani nei paesi in cui hanno le truppe?
Comunque ha ragione. Ciascuno dovrebbe rispondere per se stesso e non per il suo governo.
In ogni caso io mi riservo di pensare che se il tuo capo di stato è un assassino e tu non ti dissoci, qualcosa di te lo stai dicendo anche col silenzio.
Infine rilevo che la parola "sionista" è avvelenata da due significati diversi e finisce per essere l'ennesima parola divisiva.
Un altra parola rischiosa è "ebrei", che parla di religione, mentre in questo tema dovrebbe rientrare la cittadinanza israeliana.
Secondo te ai russi non succede?
Agli americani nei paesi in cui hanno le truppe?
Comunque ha ragione. Ciascuno dovrebbe rispondere per se stesso e non per il suo governo.
In ogni caso io mi riservo di pensare che se il tuo capo di stato è un assassino e tu non ti dissoci, qualcosa di te lo stai dicendo anche col silenzio.
Infine rilevo che la parola "sionista" è avvelenata da due significati diversi e finisce per essere l'ennesima parola divisiva.
Un altra parola rischiosa è "ebrei", che parla di religione, mentre in questo tema dovrebbe rientrare la cittadinanza israeliana.
se il tuo capo di stato è un assassino e tu non ti dissoci
Eh, mi pare una situazione per certi versi analoga alla dissociazione dal fascismo che si richiede alla Meloni: non c'è modo in cui essa sarà mai sufficiente.
Parlo solo dell'esprimere una distanza con le dichiarazioni perchè poi se si tirano in ballo i suoi reali sentimenti al riguardo ovviamente si pretende l'impossibile e il non necessario.
(edited)
Eh, mi pare una situazione per certi versi analoga alla dissociazione dal fascismo che si richiede alla Meloni: non c'è modo in cui essa sarà mai sufficiente.
Parlo solo dell'esprimere una distanza con le dichiarazioni perchè poi se si tirano in ballo i suoi reali sentimenti al riguardo ovviamente si pretende l'impossibile e il non necessario.
(edited)
per esempio il mio paese fornisce armi a israele e ucraina. io sono contrario.
Se un ucraino o un palestinese mi incontrano e mi dicono "italiano, tu ci stai facendo ammazzare", io credo che potrei rispondere certo che non sono io, ma il mio governo.
MA POI dovrò pure esprimerla una posizione personale, no?
Io sono contrario, non costa molto aggiungerlo..
Se un ucraino o un palestinese mi incontrano e mi dicono "italiano, tu ci stai facendo ammazzare", io credo che potrei rispondere certo che non sono io, ma il mio governo.
MA POI dovrò pure esprimerla una posizione personale, no?
Io sono contrario, non costa molto aggiungerlo..
Ma chi ti dice che non si dissoci e non lo faccia anche duramente: di fatto le parole della Zevi sono assolutamente chiare, lo fa eccome. Semplicemente, come sopra, non basta mai.
Io poi trovo quel parlare a "voi" assolutamente centrato, lo si nota anche qui. Generalizzazioni che sono l'emblema della volgarità del dibattito su Israele e chi ha origini ebraiche in genere.
Io poi trovo quel parlare a "voi" assolutamente centrato, lo si nota anche qui. Generalizzazioni che sono l'emblema della volgarità del dibattito su Israele e chi ha origini ebraiche in genere.
Si concordo, l'ho anche scritto due volte per evitare che si perdesse il fatto che concordo.
Quello che però dico è ULTERIORE.
Il discorso non può fermarsi lì, perchè anche a livello individuale NON DIRE è una posizione.
Quello che però dico è ULTERIORE.
Il discorso non può fermarsi lì, perchè anche a livello individuale NON DIRE è una posizione.
Cmq, gli "ebrei" di cui si analizzano le dichiarazioni (e cioè storici, artisti, uomini di cultura, studiosi e intellettuali, sia residenti all'estero che in Israele) hanno sempre espresso in larghissima maggioranza posizioni di critica, distacco o opposizione nei confronti delle politiche di Netanyahu, dell'espansionismo dei coloni, dei trattamenti dei palestinesi e della conduzione della guerra a Gaza (nei modi e nei tempi).
Eppure salta regolarmente fuori la sciroccata di turno (la Basile per esempio) o lo Chef del momento (Rubio per esempio) a dire che quanto detto non basta, che non è stato detto quest'altro, che c'è malafede e che, alla fine, quanto detto appartiene allo stesso insieme di quanto dicono Ben-Gvir e Bezalel Smotrich
(edited)
Eppure salta regolarmente fuori la sciroccata di turno (la Basile per esempio) o lo Chef del momento (Rubio per esempio) a dire che quanto detto non basta, che non è stato detto quest'altro, che c'è malafede e che, alla fine, quanto detto appartiene allo stesso insieme di quanto dicono Ben-Gvir e Bezalel Smotrich
(edited)
Non so cosa abbiano detto i due in questione (Rubio sicuramente si esprime in modo violento, ma mi pareva non falso, anche se ammetto di seguire poco).
Ribalto la questione: e quindi?
Io concordo che i singoli (cittadini israeliani) non debbano essere ritenuti colpevoli per lo stato di appartenenza.
Tanto più che chi è di religione ebraica o di etnia israelita (ebreo) non c'entri sostanzialmente nulla.
Ma in pratica che cosa si vuole? Silenziare chi invece la pensa diversamente da me?
edit: ebreo è chi è di etnia israelita o di religione ebraica.
(edited)
Ribalto la questione: e quindi?
Io concordo che i singoli (cittadini israeliani) non debbano essere ritenuti colpevoli per lo stato di appartenenza.
Tanto più che chi è di religione ebraica o di etnia israelita (ebreo) non c'entri sostanzialmente nulla.
Ma in pratica che cosa si vuole? Silenziare chi invece la pensa diversamente da me?
edit: ebreo è chi è di etnia israelita o di religione ebraica.
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Come silenziare?
Non stavamo discutendo del modo in cui si percepiscono le dissociazioni di parte "ebrea" dalle politiche di Israele?
Ho citato la Basile e Rubio come esempio eclatanti di malafede nella lettura di quelle dissociazioni.
Dal mio punto di vista non c'è nessun auspicio di silenziamento; anzi, più si esprimono meglio è... ma certo rappresentano perfettamente la difficoltà oggi a distinguere tra "ebreo" e "ebreo", tra singolo e Stato, tra Stato e Governo preferendo invece mettere tutto insieme nel pacchetto "ebrei"
Non stavamo discutendo del modo in cui si percepiscono le dissociazioni di parte "ebrea" dalle politiche di Israele?
Ho citato la Basile e Rubio come esempio eclatanti di malafede nella lettura di quelle dissociazioni.
Dal mio punto di vista non c'è nessun auspicio di silenziamento; anzi, più si esprimono meglio è... ma certo rappresentano perfettamente la difficoltà oggi a distinguere tra "ebreo" e "ebreo", tra singolo e Stato, tra Stato e Governo preferendo invece mettere tutto insieme nel pacchetto "ebrei"
ok allora sono d'accordo. (ho più dubbi sulla malafede dei singoli esempi, ma sono opinioni).
Su quello certo, ci mancherebbe, avrei dovuto mettere "imho" ma a volte sfugge.
Aggiungo una cosa, non credo sia una provocazione ma può essere percepita come tale; se da parte palestinese fossero emerse dissociazioni analoghe a quelle prodotte dalla parte ebraico-israeliana forse due Stati li avremmo già.
Un'autocritica palestinese invece è sempre mancata nel mezzo secolo della questione.
P.s. mi rendo conto che parlarne mentre Gaza si trova in queste condizioni pare fuori luogo ma è, invece, imho, l'unica cosa su cui ha senso parlare
(edited)
Aggiungo una cosa, non credo sia una provocazione ma può essere percepita come tale; se da parte palestinese fossero emerse dissociazioni analoghe a quelle prodotte dalla parte ebraico-israeliana forse due Stati li avremmo già.
Un'autocritica palestinese invece è sempre mancata nel mezzo secolo della questione.
P.s. mi rendo conto che parlarne mentre Gaza si trova in queste condizioni pare fuori luogo ma è, invece, imho, l'unica cosa su cui ha senso parlare
(edited)