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Subject: Hamas vs Israele

2023-10-16 19:05:00
Mah
2023-10-16 19:20:07
breve e molto chiaro:


di un anno fa . ascoltarlo oggi è illuminante:


completa quella mappa sulle vicende economiche che possano aver avuto un ruolo nelle vicende di oggi e nella loro crudeltà
2023-10-16 22:00:32
Quello di Nova Lectio l'avevo visto; ben fatto per essere così breve
2023-10-16 22:12:07
Che Hamas fosse una creatura israelianana lo sanno tutti quelli che non si fermano alle apparenze. I soldi sono arrivati anche dalla CIA.

Anche l'ISIS é creatura israeliana e USA

Israele e USA hanno il vizio di finanziare qualcuno e poi la cosa gli sfugge di mano o peggio.
(edited)
2023-10-16 23:05:23
Per rispondere ai vostri quesiti bisognerebbe essere degli esperti ed io non lo sono.
debbo dire che la domanda viene posta da più parti.
gli esperti mi pare di capire rispondano dicendo che ciò avverrà ma non oggi. oggi prevarrà comunque il senso della nazione e la necessità di essere compatti
però, lo ripeto, ascolto e leggo e mi fermo qui
oggi ho ascoltato molte cose e mi rendo conto di quanto sia difficile anche solo provare a comprendere la complessità della società israeliana , con le forti pressioni nazionalistiche e religiose in pieno contrasto con la visione laica e socialista dei padri fondatori


Non c’è bisogno di risposta, sono quesiti retorici.
Non ricordo nessuno abbia pagato per la leggerezza in occasione dell’11 settembre, ne’ per l’offerta sacrificale si giapponesi di quella mezza flotta di ruderi bellici in quella di Pearl Harbour.
2023-10-16 23:54:02
Sull'11 settembre non saprei ma su Pearl Harbor ti posso dire che l'ammiraglio Kimmel non è d'accordo: The enemy's First Blow struck him.
Per non dire dell'ammiraglio Stark, nonostante l'amicizia personale con Roosevelt, e altri subito considerati responsabili dalla commissione d'inchiesta.
Alla fine della guerra un'altra commissione allargò le responsabilità a Washington e venne tirato in ballo pure Marshall
2023-10-17 14:39:34
Sull'11 settembre non saprei ma su Pearl Harbor ti posso dire che l'ammiraglio Kimmel non è d'accordo: The enemy's First Blow struck him.
Per non dire dell'ammiraglio Stark, nonostante l'amicizia personale con Roosevelt, e altri subito considerati responsabili dalla commissione d'inchiesta.
Alla fine della guerra un'altra commissione allargò le responsabilità a Washington e venne tirato in ballo pure Marshall


Gli USA avevano giá rotto i codici giapponesi ai tempi di Pearl Harbor per cui sapevano perfettamente, poi a guerra vinta che inchieste vuoi fare?

La versione ufficiale dell'11 settembre é per gli sciocchi.

É come l'omicidio Kennedy: tutti sanno che la versione ufficiale é falsa, i sospetti sono molti, peró non si conosce il vero responsabile o i mandanti.

Peró c'é sempre la famosa domanda: cui prodest?
2023-10-17 16:47:09
Glisso l'11 settembre su cui è stato dato tutto il possibile.

Su PH volevo solo sottolineare che in realtà pagarono in diversi e ai più alti gradi e che, quindi, l'idea che su fatti di tale entità e gravità per uno Stato, specie se democratico, non ci siano poi conseguenze e ricerca di responsabilità è falsa. Che i responsabili individuati siano poi quelli reali è un altro discorso.

Non è vero però che:

Gli USA avevano giá rotto i codici giapponesi ai tempi di Pearl Harbor per cui sapevano perfettamente

In primo luogo non avevano violato i codici usati dalla Marina giapponese per gli spostamenti (il JN-25a e il JN-25b... quest'ultimo aveva 3 giorni di vita appena!) e quindi non ci poteva essere nessuna conoscenza perfetta né del luogo, né dei tempi, né (cosa ancora più importante) della forza dell'attacco giapponese. Si sottovaluta sempre, perché ci si abitua al senno di poi, che nessuno all'epoca poteva immaginare fosse possibile accumulare una forza d'attacco come quella che i giapponesi misero insieme in modo mirabile con la Kido Butai. Tutte le esperienze precedenti, comprese quelle americane coinvolgevano una portaerei e poche decine di aerei... i giapponesi furono capaci di coordinare 6 portaerei e quasi 400 apparecchi.
In secondo luogo la decifrazione di Purple offriva sì la "certezza" di un attacco ma dove? Lo scenario del Pacifico era completamente aperto, c'erano tantissimi obiettivi per i giapponesi e le Filippine erano un obiettivo molto più probabile e razionale rispetto ad una base situata a 6000 km in linea d'aria dal Giappone.
Di nuovo, si sottovaluta la straordinarietà di ciò che fecero i giapponesi e si sopravvaluta, di molto, ciò che gli americani di allora potevano credere possibile.
La sottovalutazione degli indizi che si accumulavano dipendeva dal fatto che ciò che raccontavano era difficilmente credibile.
Aggiungo che uno dei cardini della politica americana di allora nei confronti del Giappone era l'idea, sbagliata, che il Giappone avrebbe seguito la razionalità e la logica... di conseguenza l'attacco militare, poiché avrebbe comportato la sconfitta sicura, non poteva essere la strada che i giapponesi avrebbero percorso. Ecco perché c'era tanta fiducia nella deterrenza dell'embargo. Lo stesso Yamamoto giudicava una follia entrare in guerra con gli Stati Uniti.
(edited)
2023-10-17 19:19:15
Sull'11 settembre non saprei ma su Pearl Harbor ti posso dire che l'ammiraglio Kimmel non è d'accordo: The enemy's First Blow struck him.
Per non dire dell'ammiraglio Stark, nonostante l'amicizia personale con Roosevelt, e altri subito considerati responsabili dalla commissione d'inchiesta.
Alla fine della guerra un'altra commissione allargò le responsabilità a Washington e venne tirato in ballo pure Marshall


Quindi all'epoca i quadri del deep state non erano ancora completi, c'era ancora qualcuno che li contrastava. Nel 2001 erano armai tutti corrotti compresa la stampa!
2023-10-17 19:30:07
Gli USA avevano giá rotto i codici giapponesi ai tempi di Pearl Harbor per cui sapevano perfettamente, poi a guerra vinta che inchieste vuoi fare?

La versione ufficiale dell'11 settembre é per gli sciocchi.

É come l'omicidio Kennedy: tutti sanno che la versione ufficiale é falsa, i sospetti sono molti, peró non si conosce il vero responsabile o i mandanti.

Peró c'é sempre la famosa domanda: cui prodest?


Ma manco c'era bisogno di decodificare! Uno specchietto per le allodole sotto il naso dei giapponesi! Un mucchio di ferraglia accatastata nelle Hawaii che faceva credere fosse l'intera flotta USA; intanto nessuna delle tre portaeree era lì di stanza; ma guarda che strano! :-o

A chi serve? Ai soliti! L'elite ebraico-anglo-americana.
2023-10-18 11:50:43
Marco Travaglio
10 anni di stop&go



I sogni muoiono all’alba, ma anche la sera. Tel Aviv, piazza dei Re d’Israele, 4 novembre 1995, ore 21.30. Il premier Yitzhak Rabin termina il suo discorso a una manifestazione di sostegno agli accordi di Oslo che dilaniano il Paese: “Vorrei ringraziare ognuno di voi che è venuto qui oggi a manifestare per la pace e contro la violenza. Questo governo, che ho il privilegio di presiedere con il mio amico Shimon Peres, ha scelto di dare una possibilità alla pace, una pace che risolverà la maggior parte dei problemi di Israele… La via della pace è preferibile alla via della guerra. Ve lo dice uno che è stato un militare per 27 anni”. Poi scende dal palco e, mentre sta per raggiungere l’auto blindata della scorta, uno studente israeliano di estrema destra, Yigal Amir, gli spara due colpi di pistola. Rabin muore poco dopo in ospedale: ucciso, come Sadat 14 anni prima da un fanatico jihadista, per avere firmato la pace proibita. Ai suoi funerali a Gerusalemme, insieme a un milione di israeliani e a molti capi di Stato e di governo da tutto il mondo, partecipano diversi leader arabi che non hanno mai messo piede in Israele.

La prima volta di Bibi. A Rabin succede Peres, ma dura pochi mesi. Le elezioni del 1996 le vince il nuovo leader del Likud, il 47enne Benjamin Netanyahu detto “Bibi”, che diventa il primo premier israeliano nato nello Stato ebraico. Militare, politico, uomo d’affari e di malaffari, vissuto per anni negli Usa, in campagna elettorale Bibi ha vellicato la pancia e le viscere degli ebrei più diffidenti sul percorso di pace, promettendo agli elettori di fare a pezzi gli accordi di Oslo. Mette in piedi il governo più a destra della storia di Israele, alleandosi con gli ultranazionalisti e i partiti religiosi. E inizia a demolire tutto ciò che non solo Rabin e Peres, ma anche i padri del suo partito Begin e Shamir, hanno costruito negli ultimi 18 anni da Camp David in poi. La nascita del suo governo è il “tana liberi tutti” per il ritorno all’odio e alla violenza. Gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gaza, frenati da Rabin, riprendono a spron battuto. Intanto Arafat è stato eletto presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Netanyahu, pur ritirando l’esercito dai territori occupati come previsto dagli accordi di Oslo, li sabota nei fatti con continue provocazioni. E così, come già aveva fatto Rabin prima di Oslo, rafforza consapevolmente Hamas, suo vero alleato occulto all’insegna del “tanto peggio tanto meglio”, che moltiplica gli attentati suicidi contro i civili israeliani. Clinton si danna l’anima per ricucire la tela e sembra farcela: Bibi, complice il suo primo scandalo di corruzione, vede sfarinarsi la sua coalizione di governo: nel 1999 perde le elezioni anticipate e lascia la politica per dedicarsi ai suoi affari.

Barak, l’occasione mancata. Il nuovo premier è il generale ed economista laburista Ehud Barak, ritira subito Israele dalla “fascia di sicurezza” nel Libano del Sud e riprende i negoziati con l’Olp. È convinto che perpetuare l’occupazione dei Territori “condurrà inevitabilmente o a uno Stato non-democratico o ad uno Stato non-ebraico. Infatti, se i palestinesi voteranno, saremo uno Stato binazionale; se non voteranno, saremo uno Stato segregazionista”. E nel 2000, a Camp David, sotto lo sguardo di Clinton, offre ad Arafat una soluzione tutt’altro che perfetta, ma la più vantaggiosa mai proposta da Israele dal 1967: uno Stato palestinese nel 73% della Cisgiordania (che entro 25 anni salirebbe al 90% e intanto verrebbe integrato da una porzione di Negev) e nel 100% della striscia di Gaza, con Gerusalemme Est capitale, il ritorno di un certo numero di profughi e un indennizzo per quelli restanti. Arafat rifiuta senza neppure avanzare una controproposta, fa fallire il summit e imbocca il viale del crepuscolo. Anche il governo Barak, rimasto col cerino in mano, entra in crisi. E il Likud torna a spopolare, non più con Netanyahu, ma con Sharon.

L’eroe del Kippur, azzoppato dalla guerra libanese e dall’inchiesta su Sabra e Chatila (nel 1983 la Corte Suprema israeliana ne aveva ordinato la rimozione da ministro della Difesa), si rilancia con uno dei suoi temerari gesti dannunziani. Il 28 settembre 2000 passeggia platealmente e provocatoriamente sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, con un migliaio di militari di scorta, per proclamare anche la città orientale “eternamente israeliana”. Le furibonde proteste palestinesi sfociano nella seconda Intifada, molto più cruenta della prima, sia per la sempre più massiccia presenza di Hamas con i suoi attentati ormai fuori dal controllo dell’Anp, sia per la durezza della repressione israeliana. Durerà fino al 2005, mietendo oltre 4 mila vittime palestinesi e mille israeliane.

Muore Arafat, risorge Sharon. Nel 2001 l’Onu torna protagonista sullo scacchiere mediorientale dopo decenni di latitanza per la Guerra fredda: il segretario generale Kofi Annan convince gli Usa di George W. Bush, la Russia di Putin e l’Unione europea a dare vita insieme con lui a un “Quartetto per il Medio Oriente” per riannodare il filo spezzato di Oslo. Nello stesso anno Israele torna alle urne e vince Sharon. Il suo primo atto è chiudere ogni rapporto con l’ormai inutile e screditato Arafat, confinato e assediato nel suo quartier generale di Ramallah. Il secondo è una raffica di bombardamenti su Gaza e Cisgiordania, con almeno tremila case distrutte, oltre al porto della Striscia. Nel 2004 un missile israeliano uccide lo sceicco Ahmed Yassin, cofondatore e capo spirituale di Hamas, mentre esce da una moschea a Gaza. Israele inizia a costruire un muro divisorio dai Territori: ufficialmente serve a fermare gli attentati kamikaze, che si assottigliano drasticamente; nei fatti complica vieppiù la vita già infame dei palestinesi. Sembrano tutte mosse per seppellire gli accordi di Oslo, ma ciò che accade di lì in poi dimostra che c’è dell’altro.

Arafat è ormai isolato anche fra i suoi, dopo tanti errori politici e sospetti di corruzione. Il suo ultimo atto è licenziare il suo stesso premier Abu Mazen. Poi entra in coma e l’11 novembre muore. Di cosa, nessuno lo saprà mai, perché sul corpo non viene effettuata alcuna autopsia prima della sepoltura a Ramallah. Qualcuno parlerà di Aids, chi di altre cause naturali, chi di avvelenamento da polonio. Sepolto il vecchio Yasser, sparita la sua corte, si rafforza una nuova classe dirigente palestinese in grado di trattare con Israele attorno ad Abu Mazen, confermato dalle elezioni come premier dell’Anp.

Addio a Gaza. Nell’estate del 2005 Sharon fa la mossa del cavallo: ritira unilateralmente l’esercito da Gaza. Il 12 settembre l’ultimo soldato di Tsahal lascia la Striscia, che passa sotto il pieno controllo dell’Anp. Israele però vigila a distanza via terra, cielo e mare. Il momento più drammatico del “disimpegno” è la rimozione forzata degli 8.500 coloni ebraici, che non vogliono saperne di sloggiare da Gaza e vengono sgomberati con le maniere spicce dai loro 21 insediamenti. Altri sgomberi di coloni Sharon li ordina dal Nord della Cisgiordania, scatenando altre proteste e scontri con l’esercito. Che succede nella testa del superfalco? Si è rammollito? No, sta soltanto seguendo il percorso di altri “duri”, come Begin, Shamir e Rabin: la Storia chiama anche lui a guardare oltre se stesso, a elevarsi da politicante a statista. E lui, a 77 anni, risponde. Il suo discorso alla nazione del 15 agosto 2005 dice tutto: “Israeliani, il giorno è giunto. Diamo ora inizio alla fase più difficile e dolorosa: l’evacuazione delle nostre comunità dalla Striscia di Gaza e dal nord della Samaria. Per me è un momento particolarmente difficile… Come tanti altri, credevo e speravo che Netzarim e Kfar Darom rimanessero nostri per sempre, ma l’evolversi della realtà in questo Paese, in questa regione e nel mondo ha richiesto una rivalutazione e un cambiamento di posizione. Gaza non poteva rimanere nostra per sempre: ci abitano oltre un milione di palestinesi, un numero che raddoppia a ogni generazione. Vivono in campi profughi affollati all’inverosimile, immersi nella povertà e nello squallore, in focolai di odio crescente, senza nessuna sorta di speranza all’orizzonte. Questa decisione costituisce un segno di forza, e non di debolezza… Adesso l’onere della prova ricade sui palestinesi: dovranno combattere le organizzazioni terroristiche, smantellarne le strutture e dimostrare di ricercare sinceramente la pace per potersi sedere accanto a noi al tavolo dei negoziati. Il mondo aspetta la reazione dei palestinesi, aspetta di vedere se tenderanno la mano in segno di pace o continueranno il fuoco terroristico. A una mano tesa in segno di pace risponderemo con un ramo di ulivo; ma se sceglieranno il fuoco, noi risponderemo con il fuoco, con più forza che mai”.

La strana coppia. Ormai, nel Likud, Sharon è guardato con sospetto, come una specie di traditore. Il redivivo Netanyahu, tornato alla politica come ministro delle Finanze, lascia il governo in polemica col ritiro da Gaza. Ariel taglia corto: il 21 novembre pianta in asso il suo partito e ne fonda uno nuovo di centro liberale, Kadima (“Avanti”), a cui aderisce subito l’avversario di sempre, Shimon Peres, che molla i laburisti. I due grandi vecchi, il simbolo del pugno di ferro e quello del guanto di velluto, gli ultimi statisti nati prima di Israele si danno la mano per accompagnarlo nella traversata del deserto più difficile: quella verso il futuro. Ma la nuova speranza durerà meno di un mese.
2023-10-18 14:39:29
Se c'è una seconda parte la leggerò volentieri; non ricordavo il discorso di Sharon che mi pare attualissimo
2023-10-18 17:31:42
2023-10-18 17:54:17
Gli Stati Uniti hanno posto il veto su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva una "pausa umanitaria" nell'impetuoso conflitto tra Israele e Hamas, poiché il testo non rispettava il diritto di Israele a difendersi, ha dichiarato l'ambasciatore statunitense.
2023-10-18 21:47:22
Il Pakistan chiede un attacco nucleare contro Israele.

Il deputato Sarwat Fatima ha avanzato la proposta in Parlamento.

"Le armi nucleari del Pakistan non sono un reperto, chiedo al governo di usare i nostri missili nucleari come deterrente e di avvertire gli israeliani che se non smettono di bombardare la Striscia di Gaza, saranno spazzati via dalla faccia della terra".


Tanto l'avevano fatto gli USA sul Giappone, perche non dovrebbero farlo loro?!
2023-10-18 22:29:36
Una proposta talmente scema da far preoccupare, perché c'è un deputato che evidentemente non sa fare 1+1 e capire che se Israele viene colpita con armi nucleari i primi ad andarsene sono anche gli stessi palestinesi.